I bar di Scerbanenco

Di Giorgio Scerbanenco (1911-1969) si può dire che sia stato il grande maestro del giallo e del poliziesco italiano, uno degli scrittori che ha gettato i semi di un genere che oggi ritroviamo molto diffuso e declinato in particolar modo nel noir, quel sottogenere del giallo che risulta più legato ad una sua dimensione e ambientazione sociopolitica. Narrando i conflitti dell’Italia del secondo dopoguerra, con l’immigrazione verso il Nord del paese, i delitti della malavita milanese, i primi segnali del Boom economico e le sue contraddizioni sociali e di classe, Scerbanenco ha disegnato un’immagine piuttosto vivida e indelebile sia della storia del Belpaese che dei primordi del noir italiano.

Ultimamente la sua opera è stata riscoperta e tirata fuori dagli scaffali impolverati, probabilmente per l’acquisita consapevolezza di quanto lo scrittore nato a Kiev sia uno dei precursori di quel genere che nel Novecento abbiamo visto prosperare innanzitutto negli USA con grandi autori quali Dashiell Hammett (Piombo e sangue, Il falcone maltese, La chiave di vetro) e Jim Thompson (Un uomo da niente, L’assassino che è in me, Gateway). Negli ultimi anni, infatti, le sue opere sono in ripubblicazione grazie alla meritoria casa editrice La nave di Teseo. Nella scrittura di Scerbanenco a spiccare sono soprattutto l’eleganza sobria del vocabolario e la ricostruzione affascinante di una ambientazione caratteristica di uno spaccato sociale e storico che esonda dalle biografie dei personaggi e coinvolge tutta un’epoca e un paese in ricostruzione ma afflitto da tensioni vecchie e nuove.

La quadrilogia di Duca Lamberti, giovane medico radiato dall’ordine per aver pratica l’eutanasia ad un’anziana donna, diventato un investigatore privato in collaborazione con la questura di Milano, è composta dai libri Venere privata, Traditori di tutti, I ragazzi del massacro, I milanesi ammazzano al sabato. In questi testi un luogo privilegiato è quello dei bar del capoluogo lombardo o di altre località del Nord Italia. Luogo di incontro tra i personaggi del giallo e di svolta della trama del romanzo, i bar rappresentano il principale espediente letterario per disegnare l’Italia del boom economico, tra la presenza di avventori loschi e i vari servizi forniti alla clientela dai proprietari del bar.

In Venere privata, ad esempio, leggiamo: “Il locale, che sorgeva anch’esso, come la villa, sul fianco di un colle, voleva essere un country-night, con qualche concessione alla balera. La veranda giardino dove si ballava era quasi vuota, le luci basse illuminavano coppie di modesti peccatori da giorni feriali. Per il momento due giovani ballavano alla musica del juke-box, ma alle 22 un manifesto prometteva un brillante complesso orchestrale, la frase dava l’idea di una cinquantina di suonatori, ma gli strumenti sul palchetto dell’orchestra erano quattro. Su un terrazzino c’erano alcune tavole apparecchiate, era il ristorante, e in meno di un’ora riuscirono a mangiare del prosciutto che sapeva di frigorifero, del pollo in gelatina che invece era assolutamente di grande cucina, e una mediocre insalata «capricciosa». La cosa migliore era l’aria, dolcemente umida, e la vista, in tutto il buio, di tanti punti luminosi, case, villette, lampioni, che degradavano verso la pianura milanese” (G.Scerbanenco, Venere privata, La biblioteca di Repubblica, 2005, p.25).

Sempre nello stesso romanzo, più avanti si legge: “Era alta, infatti. L’attendeva in piedi sulla porta del bar e a lui fece impressione che, appena uscito dalla Giulietta, lei gli venisse incontro, con quel calore nel passo e nello sguardo, come rivedesse un amico tanto caro. Fino a dieci minuti prima non sapeva di avere nel mondo, e così vicino, un’amica come lei. «Qui possiamo parlare tranquilli, è l’unico bar della zona senza televisione e senza juke-box, così la sera non c’è quasi mai nessuno»”(ivi, p.95).

In un altro libro della quadrilogia di Duca Lamberti, I milanesi ammazzano al sabato, si legge più dettagliatamente: “Entrò nel bar, a poche decine di metri da casa sua. Erano anni che veniva lì, due volte al mattino, due volte nel pomeriggio, una volta la sera. Non beveva sempre la grappa, molte volte prendeva il cappuccino, qualche volta un amaro. Era lo squallido bar del benessere di massa. C’era tutto, il flipper, il juke-box, il televisore, la radio che suonava in sordina quando non c’erano programmi alla televisione, la saletta semiappartata coi tavolini coperti di panno verde per giocare a carte, un settore del bar con frigorifero a vetro da cui si vedevano prosciutti, salami, quarti di groviera e una distesa sterminata di bacinelle di vetroplastica con le acciughe, i carciofini, i capperi. C’era il piccolo forno per le pizze, c’era un altro settore del banco con le paste e le focacce in busta di plastica, più una specie di palazzo di vetro delle nazioni unite, composto di caramelline, con gomma o senza, di un’infinita varietà di gusti, e perfino con la vitamina C contro l’influenza” (G. Scerbanenco, I milanesi ammazzano al sabato. Un’indagine di Duca Lamberti, La nave di Teseo, 2022, pp 142-143).

Negli ultimi anni di vita, Scerbanenco soggiornò a Lignano Sabbiadoro, in provincia di Udine, scrivendo gli ultimi bellissimi romanzi, tra i quali La sabbia non ricorda, ambientato proprio nella città friulana. “Il caffè era vicino, appena sullo stradone, un cento metri verso Latisana. Una casetta a due piani, con una osteria che aveva l’insegna “Bar”, e le sue serate, da quando l’avevano costruita, dopo che era uscito di prigione, le aveva trascorse sempre lì. A quell’ora c’erano solo i padroni che mangiavano di sopra, al primo piano, e sentendolo entrare scese il figlio, un ragazzino con le guance gonfie per un boccone che finiva di masticare. «Dammi un bianco,» disse lui. Il ragazzino gli servì il bicchiere di vino bianco e lui lo bevette di colpo perché aveva ancora sete. «Me ne dai un altro,» gli disse. Mise sul banco delle monete. «Poi dammi anche un gettone.» Il ragazzino lo conosceva, non aveva neppure riposto il bottiglione di vino bianco, sapendo che ne avrebbe ordinato almeno un altro. Poi aprì la cassa, nell’ombra affocata del locale si udì il tlin del campanello della cassa, come qualche cosa di fresco, e gli dette un gettone” (G.Scerbanenco, La sabbia non ricorda, La nave di Teseo, 2024, p.125).

Scerbanenco è stato un autore molto prolifico e non si è limitato al genere poliziesco né ai gialli, scrivendo invece romanzi di vario genere, dal rosa al western fino alla fantascienza. Nell’opera del 1950 Anime senza cielo, una “storia d’amore e di spionaggio tra profughi del dopoguerra”, come si legge sulla copertina dell’edizione del 1978 pubblicata da Rizzoli, troviamo infine un’ambientazione nei bar dell’epoca che risulta altrettanto centrale nel testo: “Non era andato in pensione, era ancora in tuta ed era ubriaco. Aveva mangiato al buffet della stazione e poi aveva girato di caffè in caffè, incapace di fermarsi in un locale più di cinque minuti. Per un po’ aveva bevuto ancora grappa, sapendo anche troppo bene che che doveva risparmiare, ma in un locale vicino alla stazione aveva visto quei bicchieri Napoleon, simili in tutto a quello che gli aveva teso suo padre un giorno lontano, e insieme coi ricordi era venuta anche la nostalgia infantile di riprovare il sapore di quel cognac che da allora non aveva più bevuto” (G.Scerbanenco, Anime senza cielo, Rizzoli, 1978, p.12).

per info e contatti email [email protected]