Pensieri tra politica e filosofia

A volte penso a come si è strutturato il mio pensiero attraverso gli interessi che lo hanno impegnato. Età diverse, attività diverse, interessi variabili. Che immancabilmente vengono accantonati per scelta cosciente o, più facilmente, passano tra le attività dimenticate quando altri interessi prendono il tempo che andrebbe dedicato loro. Ogni tanto mi piace pensare di tornare a qualcuno di questi vecchi interessi. Soprattutto a quelli che hanno plasmato il mio essere quello che sono anche in tempi lontani. Di solito sono ambiti su cui ho qualche posizione forte, nel senso che ho riflettuto, valutato e scelto cosa pensare in proposito. A volte scopro, ripensandoci, che invece scimmiottavo posizioni altrui senza aver capito o padroneggiato nessun aspetto della materia. Tra i vecchi interessi che hanno avuto uno spazio enorme nella mia vita, soprattutto nel passaggio da un’adolescenza prolungatissima a una vita mai troppo adulta, la filosofia e la politica. Dalla filosofia discende la politica. Davvero? No, non lo so. Forse si fa anche il percorso inverso. Più razionalmente sono due aspetti intrecciati strettamente. Parlo qui di politica dei massimi sistemi, non di attività spicciola, di amministrazione della cosa pubblica, pur con l’importanza che oggi le riconosco e un tempo tendevo a disprezzare. Dunque. Ero un anarchico. Sono un anarchico? Sì, direi di sì, anche se molto diverso da allora. Ma, prima ancora, l’essere anarchico è una posizione filosofica o politica? Risponderei entrambe, con ovvie differenze e altre meno ovvie. Essere anarchico, oggi, anni ‘20 del XXI secolo, si pone in una posizione strana rispetto a ogni altro pensiero. Non si può più parlare di rivoluzione anarchica per instaurare l’anarchia come la intendevano gli ottocenteschi o i primo novecenteschi, alla Malatesta per intenderci. Posizione storicamente determinata che, in qualche modo, ricomprende l’esperienza della Rivoluzione Spagnola del 1936, pur con le riflessioni avanzate di un Camillo Berneri che proprio lì troverà la morte per mano dei comunisti. Un primo discrimine obbligatorio, sia filosofico che politico, è la netta, totale, differenziazione tra anarchismo e comunismo. L’anarchismo sta al comunismo esattamente come sta al fascismo punto. Definire l’anarchismo “di sinistra” è una cazzata. Pensare di poter fare il famoso pezzo di strada in compagnia di quella sinistra per poi discuterne dopo, valutare la pars destruens come comune sono tutte idee pericolose. Tanto varrebbe fare attività in comune con gli integralisti islamici o con Forza Nuova. A questo punto definiamo positivamente un pezzo della nostra posizione, anarchismo è individualismo. Cioè nemico di ogni socialismo, collettivismo, comunitarismo, corporativismo o comunismo. Se qualcuno pensa di essere anarchico mediando, o, addirittura, fondandosi su certi concetti non ha nulla a che vedere con noi. Stessa cosa per coloro che definiscono l’anarchismo come ideologia socialista senza alternative. Saranno anarchismi diversi, anche inconciliabili, va da sé che nella nostra visione mille anarchici pensano a mille anarchie diverse. Appunto, individuali. L’individualismo si basa sulla libertà, totale, individuale. Questo porta all’abbandono dell’altro grande feticcio di quella sinistra totalitaria: l’uguaglianza. Non occorre essere geni logici per capire che dove c’è uguaglianza non c’è libertà, dove c’è libertà non può esistere uguaglianza. Si può anche provare a definire, a grandi linee la libertà totale. Totale a livello filosofico, mediata da un contratto sociale politicamente. Contratto sociale minimo, costruito non calato dall’alto, non una legge garantita da uno stato ma piuttosto un accordo supervisionato dai partecipanti. Contratto sociale che non prevede la partecipazione di tutti, e lascia liberi gli individui di stabilirne altri anche diversi se lo ritenessero opportuno. Una concorrenza di contratti lascia libertà di scelta o di crearne altri ancora diversi. ... 1/X