Visioni e visionari – 1

Gabriele era abituato a simili commenti mentre i visitatori uscivano dalla sua stanza, si erano verificati dal primissimo giorno, quando, in uno stato semicomatoso secondo i sanitari, giaceva nel suo letto d’ospedale. Quello che lo stupiva, analizzando il comportamento umano, era quella tendenza a considerarlo malato, tanto malato che fatto un passo verso la porta della stanza si sentivano liberi, come non potesse sentirli, percepirli proprio. E allora era quella che aveva tacitamente definito la fiera delle ipocrisie. Ascoltava colleghi, ormai ex-colleghi, lo avevano classificato come finito, fingere comprensione e amicizia mentre fino a pochi giorni prima lo avrebbero ucciso volentieri. E non solo metaforicamente. Avversioni, disprezzo, tutto quello che aveva caratterizzato la rivalità nel loro lavoro precedente sembrava scomparso, superato dagli eventi. Lo consideravano fuori gioco, non era più una minaccia al loro quieto vivere e guadagnare sontuosamente, denaro e fama, con un concorrente di meno. E che concorrente. Il blasone e la fama, la reputazione di maestro che Gabriele aveva costruito nel corso degli anni erano imbattibili. Il pubblico, gli accademici, gli stessi artisti aspettavano le sue parole come prova di successo o delusione. Lui era l’ago della bilancia in quel mondo. O, almeno, lo era stato fino a una settimana prima. Gabriele Petrucci era un critico d’arte, specializzato in arte contemporanea, si occupava quasi solo di pittura. Raramente si esprimeva su opere del passato, ovviamente ogni suo commento era pronto per entrare nei testi di storia dell’arte, quasi mai aveva considerato sculture o altre forme d’arte, il suo campo era limitato. Tanto limitato da occuparlo praticamente tutto. I suoi commenti, sempre scritti, pochissime interviste, mai in televisione, definivano il mercato, decretavano la fortuna o la disgrazia degli artisti. Ricco e famoso pur mantenendo rigorosamente la sua privacy, la grandissima parte del pubblico non aveva idea del suo volto, ma la sua firma era legge in quel mondo. Un mondo spietato, in cui entrare e restare era difficilissimo, in cui ogni collega era pronto a distruggerti per prendersi il tuo posto. I pochi spazi dedicati alla critica sui giornali generalisti erano contesi con pratiche che per poco non arrivavano a duelli all’ultimo sangue. Si vociferava che talvolta fossero arrivati proprio allo scontro fisico i bravi critici d’arte, ma nessuno era mai riuscito a provare quelle accuse. E anche in questo Gabriele si era dimostrato il migliore. Nessuno poteva pensare di attaccarlo, di contestare la sua lettura di un quadro, qualche pazzo aveva provato a provocarlo personalmente, e restare impunito. Nemmeno di restare nel campo. In quella particolare nicchia in cui la critica d’arte contemporanea diventa critica della critica, o dei critici tout court, in cui le interpretazioni altrui vengono analizzate e distrutte, la firma Petrucci era definitiva come per le opere. Spesso tramite una controversia con qualche collega Gabriele distruggeva una carriera intera. E se non bastava un rimbrotto per qualcosa era pronto a dichiarare una guerra d’attrito, settimana dopo settimana il poveraccio insolente era colpito da attacchi, tutto quello che diceva o scriveva veniva passato al setaccio dalla sua vivida intelligenza e dal suo senso di vendetta. Non era mai successo che qualcuno avesse resistito più di un mese. La maledizione di Petrucci, come l’avevano denominata i colleghi, non dava scampo. Se proprio non cambiavano mestiere le sue vittime non si permettevano più di parlare di arte contemporanea. Spietato e preciso, con le opere come con i critici. Fino a una settimana prima. Il 12 settembre di quell’anno che pure lo aveva visto raccogliere grandi successi e i denari che ne conseguivano successe l’irreparabile. L’incredibile purché banale incidente. Mentre, nella suite di un grand hotel a cinque stelle, stava preparandosi un caffè alla cucina personale la caffettiera esplose. Fortunatamente non fu in pericolo di vita nonostante le ferite. Il sangue che perse dalla testa fece addirittura svenire un’addetta alle pulizie tra i primi a intervenire. Fortunatamente non si ustionò il volto rimasto quasi intonso. Un pezzo di metallo gli aprì un largo taglio sul cranio, commozione cerebrale e conseguente concussione, nulla di così grave per fortuna riportarono i giornali della mattina seguente. Ma l’effetto più significativo, e definitivo, fu la perdita della vista. Subito i medici che la verificarono espressero dubbi sulla sua capacità di continuare il suo lavoro. Apparve logico a tutti che un critico che si interessa di arte pittorica se non può più vedere i quadri, non può esprimersi in proposito. L’Italia, il mondo aveva perso una dei suoi sguardi più approfonditi nel mondo dell’arte, i telegiornali si sbizzarrirono nel presentare questa disgrazia come una perdita irreparabile. La totalità dei suoi colleghi intervistati confermò questa lettura mentre tra sé e sé gioiva per la fine di un incubo. Tutti si fecero vedere, filmare e intervistare mentre portavano i loro omaggi e il loro dolore in ospedale. Tutti manifestavano cordoglio e comprensione, almeno davanti a lui o ai giornalisti. Nessuno osava dire niente di negativo sul collega infortunato. Infortunio che stroncava la sua carriera liberando spazi per i colleghi, cifre in euro che loro potevano solo sognare, si apriva la gara del tutti contro tutti per approfittarne. Gabriele, dal suo letto d’ospedale, in attesa di rientrare nel suo attico nel centro di Roma, li sentiva e percepiva tutta la falsità dei loro commenti, il dolore tanto affettato quanto simulato. Poteva sentire come si adeguassero alla situazione a loro favorevole, poteva osservare gli umani comportarsi in quella situazione inaspettata. E, soprattutto, poteva ben usare il verbo osservare perché la cecità era simulata. Semplicemente falsa. Ricostruire avvenimenti e motivazioni di tali gesti non è facile. Gabriele Petrucci non si espose mai, mai confermò questa versione, mai un’intervista nonostante giornali, tv e ogni altro mezzo di comunicazione avrebbe offerto cifre considerevoli. Niente. Anzi, di lì a poco Petrucci sparì del tutto.