Attivismo

Mi chiedo sempre se possa definirmi o meno un attivista. Ho sempre vissuto in maniera contraddittoria questo fatto, l'esposizione pubblica della propria persona, del proprio corpo, al giudizio altrui come alle possibili conseguenze delle azioni politiche. Ho sempre odiato dare i volantini, per esempio. In vent'anni e più e con una miriade di iniziative politiche seguite, credo di averne dati davvero pochi. Pure quando mi costringevo a partecipare al volantinaggio non vedevo l'ora di finire i miei e passare alla parte divertente della serata, magari al pub, vivendola come la fine di un incubo. Dare i volantini è snervante, la gente è sempre contraria o indifferente a tutto quello che ci scrivi: la fine di una guerra, l'aumento del salario, ti guardano sempre come un rompicoglioni o un cretino. Loro non hanno tempo da perdere con queste stronzate. Beato te che tieni la capa fresca. Almeno questa è la mia percezione/attesa.

Questo fatto è una questione caratteriale, perché diciamo che nei primi anni di vita se c'erano estranei a casa mi nascondevo terrorizzato sotto il letto. Per dire. Che avrò avuto un amico immaginario fino a sei anni e altre cose che fanno ridere ora ma che da bambino erano atroci. Non mi sarei mai visto, una ventina d'anni dopo, a fare un intervento in un centro sociale alla presenza di centinaia di persone. Un intervento pure ironico, sciolto e molto applaudito. Così come non mi sarei mai visto con in mano un megafono davanti al blocco di un porto, con i camion destinati in Iraq fermi in colonna. Oppure a seminare le guardie fuori una tendopoli militarizzata o a urlare libertà sotto un carcere. Tutte cose che ho fatto forse con maggiore facilità rispetto a dare un volantino.

Sono comunque percorsi tortuosi e mai troppo lineari, perché oggi in certi momenti mi nasconderei volentieri di nuovo sotto il letto, mentre in altri momenti quel fuoco che mi brucia dentro continuerà a portarmi in situazioni sicuramente impensabili oggi. Anche per questo ho sempre diffidato dalle etichette, non volendomi mai definire comunista o anarchico, perché le vie tortuose della mente, delle azioni che fai perché te lo impone la passione, la voglia di starsene al sicuro a casa sotto il letto, l'indifferenza della gente, la repressione dello Stato, ci sono un mare di cose tra il dire e il fare, tra quello che pensi e quello che diventi. Mi preme sempre criticare le derive che stanno prendendo i gruppi comunisti e anarchici, soprattutto in Italia, questo sì, perché sono cazzimmoso e mi danno fastidio le posizioni politiche che non condivido: in particolar modo ho sviluppato un'ostilità e un odio profondo nei confronti dei marxisti autoritari.

Diversamente dalle etichette di cui sopra, mi accollo invece con grande orgoglio quella di vegano, perché riguarda una scelta di vita e una pratica cui sono chiamato a rispondere ogni giorno. Una scelta che non è dovuta a motivi salutistici, per cui se mi offrono una pizza margherita non risponderei mai “no grazie, sono intollerante al lattosio” per evitare la rottura di coglioni e i giudizi della gente, ma piuttosto che “sono contrario allo sfruttamento delle mucche”. Per cui no grazie, sono vegano. Resta il dubbio ora se in quanto vegano possa definirmi anche un attivista. La risposta anche qui è nì.

Anche qui ho partecipato a qualche presidio e tenuto qualche striscione. La violenza e lo scherno che c'è nei confronti delle attiviste (uso il femminile per rispetto alle tantissime che portano avanti il movimento) per la liberazione animale è moltiplicato al cubo rispetto ai militanti politici (qui al maschile per dispetto). “Ma chist so' propr sciem!” ho sentito esclamare durante un'iniziativa contro la pesca a cui ho partecipato. Mi sono girati parecchio i coglioni, come se avessi fatto un volantinaggio di tre ore. Solo che ci penso mi viene voglia di una birra. Una birra e mi ritiro, che poi diventeranno quattro pinte.