Convivialità

Una società che definisce il bene come il soddisfacimento massimo del maggior numero di individui mediante il maggior consumo di prodotti e servizi industriali, logicamente arriva a “imporre” il consumo e mutila in modo intollerabile l’autonomia della persona. Nella misura in cui il consumo programmato aumenta, l’austerità adottata per scelta personale diventa un’attività antisociale. Una soluzione politica alternativa a questo utilitarismo è quella che definisce il bene come la capacità di ciascuno di modellare l’immagine del proprio avvenire. I.Illich, La convivialità, Boroli Editore, 1973, p.26

Mai come in questo periodo storico appare al contempo particolarmente inattuale (e quindi necessario) il lascito di un pensatore come Ivan Illich, un autore singolare ed eterodosso che si stenta a catalogare. Il pensiero di Illich è stato sempre solitario, forse anche perché ha iniziato ad avere una certa diffusione negli anni ‘70, ovvero nel momento storico in cui i filoni marxista e cristiano si incontravano nel tentativo di produrre innesti come la teologia della liberazione. Illich ha infatti proposto da un lato una teologia negativa molto distante anche dalla teologia politica che andava di moda all’epoca nel cattolicesimo democratico e dall’altro ha sviluppato una parallela critica radicale del marxismo, distanziandosi da tutte le categorie interne al pensiero moderno, positivista e scientifico.

Oggi ci troviamo di fronte a una caduta quasi macchiettistica del marxismo, ridotto ad un disperato tentativo di riproposizione ottusa proprio di quelle sue caratteristiche compatibili col pensiero capitalista che furono un tempo già criticate dall’operaismo di Panzieri e Tronti, ma anche dal lavoro di Bordiga, per citare due delle scuole marxiste minoritarie del Novecento. Dialettica hegeliana e dispositivi meccanicistici di rapporto tra struttura e sovrastruttura, funzione storica del partito e della classe, conflitto capitale-lavoro inteso come astrazione puramente economica: tutti concetti appartenenti ad una lingua di legno e ad un sistema morto che si tenta inutilmente di resuscitare contrapponendolo al contemporaneo disastro della cultura e della politica liberale, anche di sinistra.

Illich ha avuto il merito di scavare un tunnel sotterraneo opposto sia al modernismo marxista che a quello cristiano, ritrovandosi in una terra straniera di cui soltanto oggi capiamo l’importanza e la necessità per una critica al capitalismo che sia efficace. Pensiamo a un testo come “Descolarizzare la società”, pubblicato nel 1971, che ricevette anche un discreto successo, per poi essere relegato nel dimenticatoio assieme a tutta quella serie di scritti critici della pedagogia e dell’istruzione che oggi sono sommersi da un’ondata di studi e riflessioni che vorrebbero umanizzare la scuola-azienda (mission impossible). Interrogato sull’origine e il significato di questo testo, Illich affermava che:

“Se la danza della pioggia non sortisce alcun effetto, puoi biasimare te stesso per avere danzato nel modo sbagliato. La scolarizzazione, come ho potuto via via rilevare, è il rituale di una società impegnata nel progresso e nello sviluppo. Essa crea quei miti che per una società consumistica sono una necessità. Per esempio ti fa credere che l’apprendimento può essere diviso in varie parti e quantificato, o che è qualcosa che acquisisci solo attraverso un processo. Un processo nel quale tu sei il consumatore e qualcun altro l’organizzatore, e tu collabori producendo la cosa che consumi e interiorizzi. Perciò sono giunto ad analizzare la scolarizzazione come il rituale di fabbricazione di un mito, il rituale che crea un mito su cui la società contemporanea poi costruisce se stessa. Ne deriva, per esempio, una società che crede nella conoscenza e nel confezionamento della conoscenza, che crede nell’invecchiamento della conoscenza e nella necessità di aggiungere conoscenza a conoscenza, che crede nella conoscenza come valore – non come bene, ma come valore – e che quindi la concepisce in termini commerciali. Tutto ciò è fondamentale per essere un uomo moderno e vivere nelle assurdità del mondo moderno” (D.Cayley, Conversazioni con Ivan Illich. Un archeologo della modernità, Eleuthera).

Ricostruendo quello che è il progetto fondamentale della scienza moderna, Pierre Thuillier racconta nel suo libro “Contro lo scientismo” (S-edizioni) questa ossessione per il quantitativo:

“la quantificazione è divenuta un’ossessione socioculturale. Gestire le giacenze, verificare le quantità consegnate, calcolare le entrate e le uscite, i guadagni e le perdite, tutto questo è entrato nei ranghi delle competenze che bisognava assolutamente padroneggiare […] C’è stato bisogno che i mercanti acquisissero un grande potere sociale perché la “natura”, infine, diventasse veramente l’oggetto di una fisica degli “scambi razionali”. La nozione di energia riceverà, a sua volta, lo stesso trattamento. Ancora oggi possiamo vedere chiaramente le tracce di questa metafisica da droghiere in un’espressione quale “il bilancio energetico”(pagine 40-41).

L’homo scientificus realizza il suo principio attraverso cui “se si può fare, allora facciamolo”. E così nei report che misurano e quantificano la distruzione del pianeta (deforestazione, allevamenti intensivi, estinzione di specie animali, cambiamento climatico, etc.) possiamo anche leggere quanti miliardi di dollari perdiamo all’anno in seguito a queste catastrofi ben poco “naturali”. Si possono quantificare i ricavati della trasformazione del mondo così come gli effetti della sua completa distruzione. Non è nient’altro che un bilancio economico. Anche se oggi leggiamo interessanti analisi di una corrente di pensiero marxista come quella dell’eco-socialismo, da queste riflessioni mancano quasi sempre tutte le vite delle varie differenti specie animali che popolano questo disgraziato pianeta. La lettura di fondo rimane quella antropocentrica e scientista, per cui la “natura” è un oggetto di studio e trasformazione ad opera dell’uomo, meglio se fatta dal socialismo piuttosto che dal capitalismo, ma sempre oggetto che gli umani modellano a loro piacimento. Il concetto di totalità (caro al pensiero hegeliano, marxista e cristiano) è completamente interno ad un pensiero della violenza razionalizzante, un pensiero che resta ancorato alle fondamenta del capitalismo occidentale. Per questo motivo le riflessioni di Illich sulla società conviviale sono oggi profondamente necessarie.