La rivoluzione è un fiore che non muore

In questi anni ne sono successe di tutti i colori e quasi sempre abbiamo dovuto scrivere e commentare enormi tragedie, guerre, massacri e genocidi, raccontando dell'esilio e della galera per milioni di persone. Per una volta almeno voglio dunque scrivere due righe e spendere due parole su una vittoria. Una vittoria inattesa, clamorosa, meravigliosa. La vittoria della rivoluzione siriana.

Quando nel 2011 sulla scia delle primavere arabe le città della Siria furono scosse dalle proteste di un intero popolo, gli sgherri del regime dissero “Assad o distruggiamo il paese”. E così è stato. Milioni di profughi, la repressione che dilaga, le torture e le uccisioni del carcere di Sednaya, dove è stato costruito un forno crematorio per far sparire le vittime; l'inizio degli scontri armati con la rivoluzione che si trasforma in una guerra civile e le fazioni diventano milizie sempre più radicali e manovrabili dall'esterno. È difficile riassumere quanto abbia sofferto il popolo siriano, è inimmaginabile per noi che da lontano abbiamo sperato che un giorno finisse il terrore imposto dal clan di Assad.

Non starò qui più di tanto a parlare di geopolitica o a ricordare quanta parte della sinistra occidentale abbia appoggiato il regime di Assad insieme ai fascisti di tutto il mondo. Né voglio fare previsioni su quello che avverrà nei prossimi tempi, polemizzando in maniera approfondita con chi ritiene buono l'Islam sciita di Khamenei mentre i sunniti sono tutti “tagliagole”. Questa gente per quanto mi riguarda merita solo indifferenza. Voglio solo dire, come ha ricordato Leila Al-Shami nelle ore convulse dell'avanzata dei ribelli verso Damasco, che “Ancora una volta le narrazioni dominanti di “sinistra” cercano di negare ai siriani qualsiasi agenzia e di vedere tutti gli eventi attraverso una lente geopolitica immutabile.”

E invece le persone siriane hanno dato una lezione al mondo intero, ancora una volta, portando a compimento una rivoluzione che sembrava ormai sepolta. Le immagini delle prigioni che si svuotavano delle persone prigioniere, le statue di Assad abbattute, le automobili in code interminabili che passano le frontiere del Libano e della Turchia e tornano a casa, i cortei di giubilo a Berlino, Monaco, Istanbul etc. Sono successe cose che non credevo più di riuscire a vedere. E invece l'8 dicembre 2024 la TV nazionale ha trasmesso l'annuncio della vittoria: il regime è caduto, la rivoluzione ha vinto. Una delle cose che mi ha commosso di più è stata ascoltare la voce degli esuli che sono pronti per tornare in patria.

Ripensiamo un momento ai decenni di massacri. Assad padre nel 1982 circonda la città di Homs e la rade al suolo uccidendo 40.000 persone; Assad figlio che 21 agosto 2013 usa le armi chimiche contro la popolazione di Goutha. Le milizie di Hezbollah che assediano Aleppo lasciando morire di fame chi era rimasto dentro la città. Per citare solo tre tappe di questo genocidio.

Alla fine, quando più nessuno se lo aspettava, dopo Aleppo sono state liberate Hama, poi Homs e poi i ribelli sono scesi a Damasco mentre dal sud i drusi salivano verso la capitale e i curdi bloccavano le milizie sciite che volevano entrare dall'Iraq per soccorrere Assad. Ma nessuno ha difeso il regime, che si manteneva solo grazie al sostegno della Russia e dell'Iran. Il popolo ha cantato nelle strade che la Siria è una, e l'unità è stata la vera carta vincente della rivoluzione, perché nessuno più ha voluto difendere gli Assad, nemmeno sulla costa dove ci sono gli Alawiti e le basi russe: pure lì sono state abbattute le statue e la gente ha cantato inneggiando all'unione.

Ricordiamo gli inizi della rivoluzione nel 2011 e le persone che si erano organizzate in assemblee democratiche dal basso, ricordiamo gli intellettuali militanti come Omar Aziz. Dopo 13 anni di conflitti enormi e dopo un genocidio compiuto da un regime che si è dovuto appoggiare a diversi stati dittatoriali per schiacciare la popolazione civile e i gruppi armati, la rivoluzione, come una fenice, è risorta dalle proprie ceneri, lasciandoci un ultimo, dolce messaggio: la rivoluzione è un fiore che non muore.