M. Il figlio del secolo

Il libro di Scurati su Mussolini, M. Il figlio del secolo, è un’opera voluminosa e dettagliata, nonché di rara potenza letteraria. Il testo è una sorta di cronaca romanzata degli eventi che partono dal 1919 e arrivano fino al 1924, quando il Duce rivendica l’omicidio Matteotti: vi troviamo insomma un Mussolini che da squattrinato direttore del giornale “Il Popolo d’Italia”, reduce fallito e traditore del Partito socialista, diviene il Duce fondatore dell’Impero.

Nel testo ci sono le vicende di altri importanti personaggi decisivi dell’epoca, dal Vate D’Annunzio che tenta la rivoluzione con la conquista di Fiume a Nicola Bombacci, il Lenin di Romagna, capo della corrente massimalista socialista, che non ebbe il coraggio di tentare la rivoluzione e finì tra le fila del fascismo. Altro personaggio decisivo del libro è Giacomo Matteotti, il figlio di borghesi che sceglie di diventare difensore degli operai e contadini del Polesine: le sue denunce in Parlamento delle violenze delle squadracce fasciste rappresentano uno dei punti più alti e commoventi del romanzo.

Il libro di Scurati è molto interessante, ma fa anche male, perché fa rabbia leggere di come un nucleo di avanguardisti, reduci dalla prima guerra mondiale, degli esaltati alla ricerca di una violenza brutale e fine a se stessa, siano diventati centrali per lo Stato che aveva bisogno di fare la guerra ai socialisti per portare avanti la sua controrivoluzione prima della tanto attesa e mai praticata rivoluzione operaia. Mussolini veniva dalla sinistra, era stato uno degli esponenti più in vista del socialismo, era arrivato alla direzione de “L’Avanti”, ma come tanti altri suoi compagni aveva deciso di passare dal pacifismo alla propaganda a favore dell’intervento italiano nella prima guerra mondiale.

La strage terrificante della guerra ’15-’18 non poteva che avere nefaste ripercussioni su tutta la vita politica mondiale anche dopo che furono firmati i trattati di pace: gli arditi tornarono nelle loro case ebbri del mito della violenza che avevano praticato al fronte, senza un progetto di vita chiaro, completamente esaltati e sbandati. I reduci erano una bomba a orologeria che l’opportunismo di Mussolini seppe voltare a proprio vantaggio. Così questo primo nucleo di arditi, i Fasci di combattimento che avevano firmato il programma di San Sepolcro in cui si chiedeva terra ai contadini e giustizia per gli operai, finirono per diventare gli sgherri dei latifondisti, degli agrari e degli industriali.

Il racconto delle violenze fasciste del periodo precedente alla marcia su Roma fa impressione e fa riflettere, anche pensando al modo in cui i socialisti e i neonati comunisti (dopo la scissione di Livorno) non riuscirono a difendersi e a salvare il paese. Nel testo ci sono molti spunti di riflessione per l’attualità politica e molte cose che richiamano quanto sta capitando oggi in Italia. Una cosa tra le tante, l’idiozia criminale con cui tanti della sinistra si riscoprirono nazionalisti, portando il paese al massacro con il fanatico amore per la patria e la bandiera.

Anche oggi leggiamo di comunisti che parlano contro una presunta “ideologia no border” proprio mentre migliaia di esseri umani vengono uccisi dai confini e dalle frontiere delle nazioni. Niente di nuovo sotto il sole: la bandiera della patria è sempre il richiamo degli infami e degli assassini, giovani ribelli esaltati o vecchi bolsi conservatori che siano i suoi adoratori.

Il libro di Scurati è molto interessante e ben scritto, soprattutto è molto potente la descrizione delle prime violenze del fascismo agrario nelle campagne emiliane, perché l’autore descrive bene l’impotenza con cui i socialisti accettarono di andare al macello senza sapersi difendere in maniera efficace. Però qui nasce il problema politico di questo testo, perché Scurati nemmeno troppo implicitamente fa capire che i socialisti avrebbero potuto salvare loro stessi e tutto il proletariato solamente attraverso un governo con liberali e popolari, con le mitragliatrici di Giolitti che avrebbero spazzato via le squadracce fasciste in dieci minuti. In base a questa tesi politica direi decisamente ingenua, Scurati descrive la scissione di Livorno come “demenziale”, testuali parole, mentre Turati, il riformista che sale a colloquio dal Re tradendo la storia del movimento operaio italiano, “aveva sempre ragione”.

Sulla scissione di Livorno possiamo avere mille considerazioni da fare e non è mia intenzione fare una crociata a difesa dei fondatori del Partito comunista, di Gramsci, Tasca, Togliatti e Bordiga. Però devo dire che Lenin e i comunisti russi, chiedendo vanamente ai socialisti massimalisti di espellere la minoranza riformista, avevano colto un punto decisivo, sostanzialmente lo stesso che aveva colto dall’altro lato Mussolini, e cioè che bisognava puntare a togliere di mezzo lo Stato liberale nella guerra civile tra reazione e rivoluzione: altro che alleanza con i popolari, se i socialisti non fossero riusciti a fare l’insurrezione, diceva saggiamente Lenin, sarebbero stati spazzati via dai fascisti. Cosa che purtroppo è successa anche per i limiti degli stessi comunisti, di come hanno depotenziato anche loro gli Arditi del popolo, per esempio, che furono gli unici, a Parma, a tenere testa ai fascisti dal punto di vista militare.

Per questo motivo è abbastanza ridicolo che Scurati affermi che ci voleva il governo antifascista con Giolitti che avrebbe dovuto semplicemente girare le mitragliatrici di esercito e carabinieri dal lato dei fascisti, mentre è lo stesso Scurati a raccontare nel suo libro come i carabinieri avessero massacrato fino al giorno prima (senza il bisogno di essere aiutati dai fascisti) operai e contadini.

Ugualmente, non è possibile citare gli Arditi del popolo solo in poche righe, ammettendo pure che furono gli unici a tenere testa ai fascisti, mentre Matteotti viene presentato come il personaggio antagonista principale a Mussolini: per quanto fosse una brava persona, non credo che il riformismo suo e di Turati avesse una possibilità concreta. Mettiamo che i socialisti fossero riusciti nell’impresa di fare un governo con Giolitti e Don Sturzo (cosa alquanto improbabile visto che entrambi non furono certo lungimiranti nel considerare il pericolo fascista, con i popolari che plaudivano al ridimensionamento delle leghe operaie socialiste e i liberali che spianarono la strada a Mussolini mettendogli un tappeto rosso fino a Roma), è facile ipotizzare come un governo del genere non avrebbe che rimandato il problema, magari avrebbe fermato militarmente le squadracce fasciste ma allo stesso tempo avrebbe continuato a massacrare operai e contadini, con il consenso dei socialisti però, come è successo negli altri paesi che hanno provato lo stesso esperimento: basti pensare che in quegli stessi anni i socialdemocratici uccidevano Rosa Luxemburg.

Infine, voglio spendere due parole su Amadeo Bordiga, il fondatore del Partito comunista a Livorno, leader della corrente oltranzista, dipinto da Scurati come un settario ottuso, che pensava nel suo massimalismo che fascismo e parlamentarismo liberale non fossero altro che due versioni del capitalismo da considerare sullo stesso piano. Anche qui possiamo dire quello che vogliamo sulla concezione apocalittica e scientista di Bordiga, insultiamolo pure dicendo che è stata colpa sua se ha vinto il fascismo, mentre tutti i presunti difensori della democrazia sparavano a turno sugli operai.

Però che il fascismo sia una carta che il capitale ha sempre pronta nei momenti di difficoltà, che se la gioca quando la democrazia liberale è inefficace nel contenere le spinte popolari, è un dato di fatto storico, provato dalla stessa capitolazione a gratis del Re, di Giolitti, di Benedetto Croce, di Albertini del “Corriere”, di Salvemini, degli industriali e di tutta la borghesia italiana dell’epoca, che preferì aprire le porte al fascismo piuttosto che allearsi con i socialisti.

E aggiungo che tutta la storia successiva del Novecento ha confermato la teoria di Bordiga sul rapporto tra capitalismo e fascismo. Insomma, se con il suo libro l’obiettivo ambizioso di Scurati era dare un contributo a una quanto mai necessaria rifondazione dell’antifascismo, mi sembra che questo tentativo sia decisamente fallito.

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