Mostri del Novecento
Destandosi da un mattino di sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel letto, in un enorme insetto. Se ne stava disteso sulla schiena, dura come una corazza, e per poco che alzasse la testa poteva vedersi il ventre abbrunito e convesso, solcato da nervature arcuate sul quale si reggeva a stento la coperta, ormai prossima a scivolare completamente a terra. Sotto i suoi occhi annaspavano impotenti le sue molte zampette, di una sottigliezza desolante se raffrontate alla sua corporatura abituale. Franz Kafka, La Metamorfosi
La storia degli uomini è popolata da mostri. Gli esseri umani hanno spesso incontrato nel loro cammino delle strane e ibride creature, non immediatamente classificabili nella specie umana o in quella animale o vegetale: creature presenti in varie forme nella vita, nell’arte, nella letteratura e nella varie scienze sociali che essi hanno costruito nei secoli con l’osservazione e lo studio della realtà che li circonda. Il termine latino monstrum deriva dal verbo monere e cioè avvisare, ammonire: il monstrum è un ammonimento, un’apparizione o un prodigio per gli uomini. Una figura abnorme, portatrice di qualità ibride tra le varie specie, metà uomo e metà bestia come il Minotauro greco, il centauro o l’uomo ragno, oppure tra più specie incrociate come l’unicorno, il cavallo alato o il lupo mannaro. Tutte figure che hanno popolato la riflessione umana per millenni, influenzando non solo l’arte e la letteratura, ma anche lo stesso sviluppo della vita sociale, storica e dunque politica degli uomini. Per prima cosa risalta questa qualità di ibridazione tra specie, ma il mostro, questa creatura che si discosta dalla normazione regolata fatta dagli umani, ripone nella capacità di eccedere la sua quintessenza. Il mostro eccede in quantità o qualità determinate caratteristiche proprie di uomini o animali, tanto che si ritiene questa eccedenza un surplus così irrimediabilmente irrecuperabile da essere catalogato in qualche dimensione nuova, che osserviamo all’inizio nella sua manifestazione di prodigio, di portento che lascia sgomenti ed attoniti:
Il mostro, dal Medioevo fino al XVIII secolo, di cui adesso ci occupiamo, è essenzialmente il misto. È il misto di due regni, del regno animale e del regno umano: l’uomo con la testa di bue è un mostro, l’uomo dai piedi di uccello è un mostro. È il misto di due specie: il maiale che ha una testa di pecora è un mostro. È il misto di due individui: colui che ha due teste e un corpo è un mostro, colui che ha due corpi e una testa è un mostro. È il misto di due sessi: colui che è contemporaneamente uomo e donna è un mostro. È un misto di vita e di morte: il feto che viene alla luce con una morfologia che non gli consente di vivere, ma riesce tuttavia a sussistere per qualche minuto o qualche giorno, è un mostro. È, infine, un misto di forme: colui che, come un serpente, non ha né braccia, né gambe è un mostro. Trasgressione, per conseguenza, dei limiti naturali, trasgressione delle classificazioni, trasgressione della legge come quadro di riferimento: è proprio di questo che si parla nella mostruosità. Ma non penso che sia solamente ciò che costituisce il mostro. Non è l’infrazione alla legge naturale -per il pensiero del Medioevo e senza ombra di dubbio anche per il pensiero del XVII e XVIII secolo- a costituire la mostruosità. Perché vi sia mostruosità, occorre che la trasgressione del limite naturale, la trasgressione del quadro della legge sia tale da riferirsi a (o per lo meno da mettere in causa) un’interdizione della legge civile, religiosa o divina. (Michel Foucault, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), Feltrinelli, Milano, 2006, pag.64)
Il mostro eccede nella misura, può essere un minuscolo lillipuziano, il gigantesco Gulliver o l’enorme scimmia King Kong appesa sul grattacielo americano, ma può anche manifestarsi nell’eccedenza di poter superare determinate leggi fisiche ritenute insormontabili attraverso l’immortalità, la telepatia, la bilocazione, l’invisibilità. Di fronte a questo costitutivo campionario di eccedenze, abnormità e ibridazioni gli uomini si sono sempre rapportati con reazioni parimenti eccessive. L’uomo è stato attonito scopritore del mostro e suo attento e scrupoloso studioso ma anche suo creatore. Nell’ibridazione di più specie o di esseri con componenti della tecnica fino ai cyborg ed ai robot opera esclusiva della tecnologia, fino alla creatura del Dr.Frankenstein, l’uomo e il mostro hanno stretto una particolare alleanza. E questi mostri sono spesso usciti dalle pagine dei libri o dalle pellicole cinematografiche o dai dipinti nelle chiese e sono diventati oggetto di culto, di timore, di speranza e di riscatto per gli uomini. Mostri buoni e mostri cattivi, mostri liberatori o tiranni, mostri dell’adattamento al sistema di produzione vigente e mostri del superamento dell’ordine costituito. Mostri immaginari ma anche (questo è un altro punto decisivo della questione) mostri realmente esistenti. E se non esistenti nella realtà fisica immediatamente riscontrabile, perlomeno esistenti per l’effetto prodotto da essi nella costituzione essa stessa ibrida della vita umana, nella commistione del pensiero e dell’osservazione della realtà, nel prodotto immediato tra fiction, discorsi e narrazione e sue risultanze storico pratiche.
«U-u-u-u-u-uhu-hu-huuu! Oh, guardatemi, sto per morire! La tempesta nel portone mi ulula il de profundis e io mugolo con lei. Sono finito, finito! Una canaglia col berretto bisunto, il cuoco della mensa per l’alimentazione normale degli impiegati al Consiglio dell’Economia Nazionale, mi ha versato addosso dell’acqua bollente e mi ha scottato il fianco sinistro. Che bestia, e pensare che è un proletario! Oh Signore, mio Dio che male! L’acqua bollente mi ha corroso l’osso e adesso mugolo, mugolo, mugolo, ma serve forse a qualcosa?». Inizia così, con la morte di un cane randagio in un oscuro vicolo di Mosca, il romanzo di Mikhail Bulgakov Cuore di cane, un testo uscito nel 1925, negli anni successivi alla Rivoluzione d’Ottobre e dopo i tentativi di correzione economica fatti da Lenin con la NEP. Al cane Pallino, grazie all’intervento del professore Preobrazeskij, vengono innestate nel corpo di animale delle componenti umane che lo trasformano in un mostro ibrido che avrà, però, vita breve. L’esperimento fallito richiama in maniera scoperta, come altri testi della letteratura pubblicata fuori dai confini sovietici, le problematiche evoluzioni del grande esperimento socialista post-rivoluzionario. Nel circo di Bulgakov, scrittore che godrà di una misteriosa accondiscendenza da parte di Stalin nonostante il carattere fortemente critico dei suoi scritti, compaiono queste figure mostruose e fantastiche che assumono sul loro corpo gli sconvolgimenti avvenuti in Unione Sovietica in quel periodo storico. Il socialismo fortemente egualitario e post-bellico crea inevitabilmente i primi scontenti, considerando anche le problematiche suscitate da una manovra capitalista che costruisce l’embrione di una nuova borghesia statale. L’artificio di un intervento sull’economia imposto dall’alto da parte di un potere conquistato per via rivoluzionaria mette in scena nella letteratura questi ambigui mostri provocati dall’interventismo socialista. Per questo motivo tali mostri avranno un grande successo in occidente: a venire mutata con la forza è una natura umana considerata immodificabile ed eterna, specchio di un sistema di produzione considerato alla stessa stregua come immutabile. In un regime capitalista puro e democratico il cane Pallino sarebbe rimasto dentro la sua specie, mentre nel socialismo della NEP si tentano invece questi strani innesti destinati al fallimento. La natura umana viene sconvolta e turbata rispetto al suo corso regolare. Siamo di fronte a delle entità mostruose dal carattere prometeico che sfidano leggi eterne ed immutabili, siamo di fronte a dei malriusciti mostri come quelli del Dr. Frankenstein. Se il mostro del proletariato industriale veniva inteso come il classico spettro che popolava le notti insonni della borghesia europea (“uno spettro si aggira per l’Europa…”), qui invece siamo di fronte al grido che ha attraversato tutto il novecento, un secolo segnato dallo scandalo per la presenza di queste anormali creature senza religione né umanità. I mostri di Bulgakov sono dei mostri del superamento, perché richiamano il tentativo eccedente di mutamento dall’esterno della natura umana: visti dall’occidente capitalista, però, diventano i mostri tipici dell’adattamento, perché si trasformano nel segnale di pericolo di un possibile rovesciamento del regime di produzione vigente. Il punto critico e politico della faccenda è dunque qui, nel fatto che ogni idea di trasformazione venga negata alla radice e bollata come mostruosa, proprio mentre ben altri mostri imperverseranno sulla scena e verranno considerati assolutamente naturali, basti pensare al tragitto che porterà l’uomo comune, “normale” e borghese, ad affidarsi pochi anni dopo ad Adolf Hitler e al suo tentativo eugenetico di creare una razza pura di dominatori del pianeta.
Sul versante opposto dell’imprevedibile surplus genetico e dell’escrescenza deviante dalla norma, peraltro costruita razionalmente a tavolino nei laboratori sovietici, lo stesso orizzonte politico che guardava inorridendo la possibile generazione di nuovi mostri si è anche speso per la creazione di mostri a proprio uso e consumo, di mostri “funzionali”, mostri dell’adattamento al sistema esistente. Mostri della produzione industriale, figure mitologiche di operai devoti al proprio sfruttamento in metamorfosi nella catena di montaggio, mostri soldato diventati tutt’uno con le protesi militari ad essi applicate, da Rambo in poi, mostri sportivi gonfi di steroidi anabolizzanti che hanno sublimato il dogma della competizione trascendendo ogni remora estetica e ogni finalità di conquista sportiva per diventare una sola cosa con la propria esibita trasformazione in fenomeni da esibizione spettacolare. Il mostro dell’adattamento si muove nella sottile linea di confine tra il rispetto del limite imposto dal contesto sociale normativo e il suo possibile superamento in termini di eccessivo e patologico rispetto della norma stessa. Determinati a selezionare la presunta identità razziale “ariana” sterminando con scientifica violenza ogni eventuale “degenerazione” dal modello presupposto, i nazisti produssero durante la loro breve ma intensa esperienza storica di potere nel Terzo Reich una incredibile quanto significativa e complessa serie di tentativi “eugenetici” volti a intervenire sulla natura umana per isolarne e scongiurare la perpetuazione di suoi elementi supposti devianti. La pratica degli esperimenti operati dai medici nazisti nei campi di concentramento si è risolta fondamentalmente in un clamoroso e tragico museo degli orrori: ricerche sulla cura ormonale dell’omosessualità, castrazioni e sterilizzazioni, esperimenti di congelamento e chi più ne ha più ne metta. Il desiderio di intervenire sulle possibili deviazioni dal modello di razza pura e di evitare di confrontarsi con gli aspetti non convenzionali della natura umana ha prodotto da un lato una lotta senza quartiere contro il fantasma del mostro del superamento, dall’altro lato si è rispecchiato nella volontà di creare il calco di un mostro funzionale, di un soldato perfetto e fedele alla religione totalitaria del Reich nazista. Il sogno di un’omologazione forzata che avrebbe dovuto generare mostri, proprio come il sonno della ragione paventato da Goya. Se nella letteratura inglese del primo ottocento abbiamo visto nascere l’ipotesi dei mostri del superamento, con il secolo successivo compaiono dunque i primi esempi dei mostri dell’adattamento. Ad esempio la fortunata opera di Franz Kafka ci presenta numerose specie di queste possibili evoluzioni e ibridazioni dell’umano in forma mostruosa ed animale. Anche nel suo racconto più famoso, “La metamorfosi”, (pubblicato nel 1915) lo spaventoso insetto nel quale si trasforma lo sfortunato commesso viaggiatore rappresenta l’allegoria di un uomo comune ridotto in forme mostruose dalla necessità, e forse dall’impossibilità, di un adattamento alle istituzioni forti della società europea del novecento, ossia la famiglia patriarcale, la produzione fordista e la macchina burocratica statale. Percepito dagli altri come un disgustoso insetto, oggetto della repulsione della maggioranza o dell’amorevole pietà di pochi, lo sfortunato uomo comune non potrà che venire schiacciato e messo da parte con la ramazza della domestica.