Negri oltre Negri

Nel primo post di questo blog ho scritto di Costanzo Preve, per cui mi sembra giusto, per “par condicio”, dire due cose sul suo acerrimo nemico filosofico e politico, ovvero Toni Negri.

Negri è stato uno dei marxisti italiani più brillanti ed eterodossi del Novecento e questo è stato possibile perché ha iniziato il suo percorso intellettuale e politico nel primo operaismo, quello di Raniero Panzieri e Mario Tronti. In due righe sintetizzare cosa sia stato l'operaismo italiano degli anni '60 è impossibile, però se lo devo mettere qui come slogan posso ricordare l'articolo “Lenin in Inghilterra” di Tronti, per cui le lotte operaie sarebbero dovute essere più efficaci nel punto più alto di sviluppo del capitalismo, l'apertura nietzschiana della classe operaia composta da barbari in lotta contro la civiltà, una classe operaia senza alleati, la critica alla neutralità della scienza fatta da Panzieri, l'analisi del capitalismo come pianificazione e non come anarchia di interessi...etc.etc.

Su questa base, il primo Negri sviluppa negli anni '70, fino al suo arresto, tutta la sua teorizzazione della autonomia operaia, quella dei “libri del rogo” (Feltrinelli editore che se li vendette alla polizia) da “Dominio e sabotaggio” alle “Trentatré tesi su Lenin”, fino ad arrivare all'operaio sociale, che è il primo momento nel quale Negri intuisce l'avvento della fase post-fordista del capitalismo. In carcere e poi in esilio in Francia, Negri comincia ad approfondire tematiche più filosofiche e farà la sua ibridazione del marxismo con il pensiero di Foucault, Deleuze e Guattari, Spinoza letto da Deleuze. Questo incrocio è davvero originale e ancora oggi viene osteggiato da tutte le altre correnti marxiste. La lettura dei Grundrisse che Negri fa in “Marx oltre Marx”, con l'idea del superamento della teoria del valore, risente appunto delle influenze francesi.

La terza stagione negriana è quella del ritorno in Italia e del successo mondiale di “Impero”, scritto con Micheal Hardt, testo che viene adottato come manifesto da parte del movimento no global. Si è scritto molto su questo testo, che all'epoca mi piacque molto. Oggi posso dire che la parte più interessante è quella filosofica di ispirazione spinoziana, mentre le teorie sul declino dello Stato erano molto forzate e soprattutto Negri conservava, sia pure nel suo originale slang eretico, una persistente adesione all'ortodossia economicista di Marx, secondo la quale un soggetto (non più la classe operaia, ma le “moltitudini”) interno allo sviluppo del capitalismo avrebbe condotto immediatamente (termine molto negriano) all'avvento del comunismo, una volta crollato l'involucro di dominio che nega questa realizzazione.

Praticamente Negri struttura la sua tesi delle moltitudini in conseguenza allo sviluppo dell'operaio sociale: nel capitalismo post-fordista e immateriale le moltitudini sono il soggetto rivoluzionario perché costruiscono la cooperazione, che è la base del superamento del capitalismo. Su questo punto specifico, devo dare ragione a Costanzo Preve quando rilevava che non esiste questo passaggio meccanico perché nella forma egemone dell'azienda capitalista (come avrebbe detto Bordiga) non c'è nessuno spazio per la cooperazione. Tanto più che la classe operaia fordista si era già dimostrata storicamente non essere una classe capace di superare il capitalismo, smentendo così Karl Marx.

Nella sua trilogia composta da “Impero”, “Moltitudine” e “Comune”, Negri afferma di non essere anarchico ma comunista perché ha fiducia nella forza della cooperazione di questa nuova classe operaia, una cooperazione che è immanente ai rapporti e alla forma di produzione odierna. Preve apostrofava l'autonomia operaia come la manifestazione italiana dell'anarchismo (credendo così di farle torto): qui invece Negri riprende secondo me una tradizione che è la parte meno attuale del marxismo, ovvero quel meccanicismo economicista che è mezzo messianico e mezzo scientifico. Il pensatore che ha fatto incontrare Marx con Nietzsche, alla fine mi sembra che recuperi proprio l'esatto opposto, cioè lo spettro di Hegel.

In conclusione, devo dire che a mio modestissimo parere Negri ha avuto il grande merito di svecchiare una dottrina, quale quella marxista, che è sempre stata un gigante dai piedi di argilla, perché si basa su presupposti scientifici che non lo sono. In sostanza, è stato un fatto positivo che diverse generazioni di militanti comunisti abbiano conosciuto grazie a lui filosofi come Foucault, Deleuze e Guattari. Questo, come dicevo sopra, è stato possibile perché (sempre secondo le mie personalissime opinioni) l'operaismo italiano di Panzieri e soci è stato l'ultimo disperato tentativo di salvare il marxismo. Negri si è preso il compito di attualizzare l'operaismo dopo la fine del fordismo, e così dopo il crollo del Muro di Berlino ha potuto presentare una forma di marxismo non coinvolto nel fallimento del socialismo reale che non fosse povero di idee come i trotzkismi di vario genere e il marxismo anglosassone che era rimasto fermo agli anni '60.

Se devo leggere oggi quello che resta del dibattito in ambito marxista (mi capita sovente di leggere alcuni teorici antispecisti che si rifanno al marxismo hegeliano) provo un profondo imbarazzo, perché almeno Negri ci ha messo un po' di fantasia mentre questi stanno ancora al materialismo dialettico. Detto come battuta, ma non troppo.