Nietzsche e il cavallo di Torino
Nella famosa situazione narrata storicamente dell’aneddoto più volte rappresentato in varie forme artistiche di Friedrich Nietzsche che abbraccia il cavallo per le vie di Torino, si è voluto dare un significato di impazzimento del filosofo tedesco, primo segnale di una follia inevitabile. Eppure tale gesto si potrebbe leggere in senso completamente rovesciato: nella sua disperata ricerca di un superamento della natura dell’uomo moderno, attraverso l’esplorazione filosofica dell’oltre-uomo (che come è noto è concetto ben diverso dalle interpretazioni naziste del Superuomo) Nietzsche si ricongiunge con l’animale con un abbraccio che porta l’empatia oltre la categorizzazione di specie.
Questa divisione artificiale viene dis-velata per un momento come superflua e fuorviante. L’oltre-uomo è appunto un individuo che si ricongiunge al di là dell’umano con un esponente di una specie vivente diversa ma accomunata dalle stesse sofferenze e travagli destinati agli umani: Nietzsche vede il cavallo sofferente, sfruttato e soggiogato, e gli si avvicina. L’abbraccio che segue fa cadere per un istante eterno tutti i confini. All'interno di un ragionamento sulle situazioni ormai incancrenite dello sviluppo della tecnica allo scopo di dominare gli altri animali, non si può non fare un cenno al quadro politico entro cui avviene questo processo che sembra inarrestabile.
Come affermava giustamente A.M. Bonanno, “lo Stato è guerra”. Le istituzioni statali, nel quadro delle quali si affermano le determinate ingiustizie storiche accennate, stanno portando l’umanità, il pianeta e tutte le specie viventi verso la catastrofe. Nel suo bellissimo saggio sullo Stato, H.Barclay concludeva la sua analisi storica e antropologica con un triste presagio di un futuro che ricorda il film distopico Mad Max:
“dove il mondo è diventato una gigantesca terra desolata, abitata da gang rivali, in cui c’è una città degenerata, Bartertown, che «prospera» grazie al gas metano prodotto dai rifiuti di un allevamento di maiali. La città è governata da due individui in competizione tra loro: la Regina (Tina Turner) e Master, un nano che controlla la produzione di carburante e che va in giro in groppa a un possente gigante. Ma il nano sarà in grado di mantenere il proprio potere solo finché non verrà ucciso il gigante, il quale stramazzando al suolo lo abbandonerà al rischio di essere travolto dai maiali. A poca distanza da Bartertown, c’è una comunità isolata di bambini fuggiti dalla città, un po’ più umani, innocenti e assennati degli abitanti di Bartertown, in attesa di un salvatore che li porti a «casa». Oggi, queste visioni pessimiste del futuro appaiono sempre più credibili. Chiaramente, come testimonia la comunità dei bambini, anche loro offrono un barlume di speranza. Forse, modificando un po’ la vicenda di Mad Max, si potrebbe immaginare la possibilità di costruire libere strutture alternative anche in mezzo alla crescente barbarie. Era ciò che sosteneva l’anarchico tedesco Gustav Landauer, secondo il quale si doveva ignorare quanto più possibile lo spazio fisico e mentale determinato dallo Stato e procedere a creare aree di libertà e mutualismo. Dopo le Zone Temporaneamente Autonome (taz) proposte da Hakim Bey, potremmo oggi ipotizzare Zone Permanentemente Autonome (paz) in cui organizzare associazioni di tipo cooperativo, ognuna delle quali dedicata a un aspetto specifico: educazione, salute, vendita di beni di consumo, protezione anti-incendi, e così via. Per quanto molti dei tentativi di formare comuni o comunità utopiche siano falliti, alcuni di questi esperimenti potrebbero fungere da esempi positivi nella misura in cui si sono rivelati liberatori. E soprattutto, possiamo e dobbiamo non solo essere più gentili con la terra, sforzandoci di non depredarla più, ma anche cercare di estendere il ricorso a quelle sanzioni diffuse nonviolente e positive che puntano a risolvere i conflitti più che a punire. Si potrebbero inoltre realizzare molte lodevoli azioni negative come minimizzare il proprio reddito tassabile, non votare, non prestare servizio come giurati, rifiutare l’addestramento militare o gli impieghi statali, boicottare le imprese non etiche. Forse niente di tutto ciò inciderà davvero sugli apparati dominanti, ma queste cose vanno fatte anche solo per conservare la nostra umanità. E se sprofonderemo in un mondo alla Mad Max, sarà chi crede nella libertà e nella giustizia che andrà a costituire le comunità dei bambini fuggitivi” [H.Barclay, Lo Stato. Breve storia del Leviatano, eléuthera, p.110].
L’elenco di azioni lodevoli proposto da Barclay per affrontare la violenza statuale è molto interessante ma risulta tragicamente limitato e mancante di tutte quelle pratiche di convivenza interspecifica. Dalle azioni di Animal Liberation Front alla costruzione di rifugi e santuari per animali liberi, ci sono molteplici pratiche che ci portano ad un’azione diretta nonviolenta e prefigurativa di una terra libera dal dominio dello Stato e del Capitale sugli umani e gli altri animali. Una cesoia che rompe una gabbia nella quale è detenuta una gallina, un coniglio, un pollo. Un santuario che accoglie mucche altrimenti destinate al macello. La pratica quotidiana di non cibarsi degli altri animali in tutti i loro derivati, dalla carne al latte e alle uova.
L’abbraccio al cavallo di Friedrich Nietzsche avveniva alle soglie del secolo XX, un secolo che sarebbe stato poi segnato dall’invenzione della bomba atomica, dalle guerre mondiali, dall’industrializzazione dello sfruttamento animale attraverso i macelli e quindi al cambiamento irreversibile del clima. Bollato come un insano gesto di follia, quell’abbraccio risulta essere invece la memoria di un altro futuro possibile: oggi quel futuro ci appare in tutta la sua potente nostalgia, perché è l’unico che possiamo immaginare.