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from tracce noir

Distopie reali

In che stato versa il genere distopico nelle opere della letteratura, nel cinema e nella televisione? La distopia descrive una società immaginaria, spesso ambientata nel futuro, nella quale le tendenze sociali, politiche e tecnologiche che oggi osserviamo nel presente sono portate agli estremi più negativi e paradossali: questa focalizzazione consente in ultima istanza un racconto critico della realtà in cui viviamo. Da più parti, in vari commenti critici, si parla di una recente “fine della distopia” e si sottolinea come il genere distopico sia stato sovrastato dall’accelerazione della realtà politica e sociale: se una distopia scritta negli anni cinquanta del secolo scorso aveva bisogno di qualche decennio per assorbire i contenuti più estremi prima di vederli poi girare tranquillamente nelle notizie di cronaca, adesso sembra che i tempi di congiungimento tra reale e irreale si siano di gran lunga accorciati, in modo che la distopia più immaginifica sia visibile solo dopo pochi anni dal suo concepimento artistico e letterario. Se leggiamo il bellissimo libro di James Ballard “Kingdom Come”, tradotto in italia “Regno a venire” per Feltrinelli nel 2009, vediamo come l’immagine di un’Inghilterra distopica popolata da pervasivi centri commerciali aperti 24 ore su 24, luoghi che hanno fagocitato le istituzioni democratiche tradizionali fino a sostituirne il loro ruolo e il loro significato nella struttura sociale, sia sempre più sovrapponibile al contenuto quotidiano di qualsiasi tabloid. «Le chiese sono vuote e la monarchia è naufragata schiantandosi contro la sua stessa vanità. La politica è un caos e la democrazia è soltanto un servizio pubblico come il gas o la luce. Non c’è quasi nessuno che abbia un briciolo di senso civico. È il consumismo a darci la misura dei nostri valori. Il consumismo è sincero e ci insegna che ogni merce ha un codice a barre. Il grande sogno dell’Illuminismo, cioè che la ragione e l’egoismo razionale un giorno avrebbero trionfato, ha portato direttamente al consumismo dei nostri giorni» [James Graham Ballard, Regno a venire, Feltrinelli, 2009, p.110].

Un altro esempio ci viene dalla trasposizione televisiva del 2017 del romanzo “The handmaid’s tale”, opera dell’autrice canadese Margaret Atwood nel 1985. Siamo in un futuro decisamente tenebroso, gli Stati Uniti d’America si sono trasformati in una dittatura fondamentalista religiosa e hanno cambiato nome in Gilead: nella nuova società si seguono i dettami più estremisti e fanatici presi alla lettera dal Vecchio Testamento, c’è un controllo militare fortissimo, gli oppositori politici vengono impiccati ed esposti per le strade, ma soprattutto c’è un carattere fortemente misogino e repressivo nei confronti delle donne. Pochissime persone, infatti, in seguito alle devastazioni ambientali, all’inquinamento e alle malattie precedenti il cambio di regime, sono rimaste fertili e la popolazione ormai si riduce sempre di più: per questo motivo le ultime donne che possono avere dei bambini vengono schiavizzate e affidate, come “ancelle”, alle famiglie potenti di Gilead. Anche la moglie del leader della nazione, il “Comandante”, ha la sua ancella schiava che deve partorire al suo posto e donarle un figlio. La figura della moglie del comandante è estremamente significativa, una donna impegnata politicamente con gli insorti ma con un passato turbolento nel quale esprimeva il suo protagonismo, poi sacrificato sull’altare della nuova realpolitik misogina: un riferimento piuttosto scoperto alla parabola di alcune intellettuali ex femministe militanti che hanno sposato oggi le teorie più reazionarie, spesso ispirate ad un ritorno al cristianesimo più retrogrado e fondamentalista.

Quanto è diversa la realtà immaginata nel 1985 dalla Atwood rispetto all’odierna America di Trump e quanto sono possibili già domani gli scenari allucinati di un paese che sacrifica i contenuti dell’illuminismo borghese pur di rispondere mobilitando le masse alla crisi del capitalismo? Se guardiamo al successo anche in casa nostra di teorie e gruppi politici che stanno slittando dall’anticapitalismo di sinistra ad una sua versione retrograda da “socialismo conservatore” possiamo esaminare da vicino la progressione della realtà verso la distopia de “Il racconto dell’ancella”. Un altro elemento forte del genere distopico è sempre stato quello di focalizzare le ibridazioni tra la specie umana e le tecnologie informatiche, immaginando un sempre maggiore asservimento degli uomini al dominio dei software e degli hardware innestati come cyborg nelle carni umane. Alcune raffigurazioni delle distopie più fortunate nel panorama televisivo e del web odierno ci raccontano un possibile e prossimo venturo riassorbimento della finzione con la realtà.

Nella puntata speciale uscita il natale 2014 intitolata “White Christmas” della serie tv “Black Mirror” si racconta di un uso sempre più fisicamente invasivo di internet: con un apposito dispositivo chiamato “Z-Eye” il web diventa tutt’uno con il piano reale e relazionale delle persone, proiettando così anche alcuni aspetti tipici della vita dei social network. Matt, il protagonista della puntata, viene bloccato dalla moglie dopo che questa ha scoperto le attività clandestine del marito: dopo il blocco effettuato tramite lo Z-Eye, la moglie di Matt vedrà solo una sagoma bianca che è impossibilitata ad interagire. Questa trasposizione da fiction degli effetti dei blocchi sui social network se da un lato richiama ad una situazione già presente nella realtà per l’estensione dell’ecosistema dei social nelle vite di ciascuno già oggi decisamente pervasiva e reale, dall’altro lato ipotizza gli effetti dell’inserimento del software nel corpo umano: anche qui è molto facile prevedere come lo sviluppo tecnologico sia già in marcia forzata verso il raggiungimento di questo ulteriore obiettivo, basti pensare agli occhiali-smartphone di Samsung, ai progetti avveniristici di Google così ben finanziati dai ricavi esentasse del suo dominio globale per farsi un’idea della corsa al prossimo riassorbimento nella realtà di questo immaginario.

Forse, per allontanarci dall’avvenire della coincidenza, dovremmo rivolgerci a uno dei padri nobili della fantascienza distopica del Novecento, ovvero lo scrittore americano Philip K. Dick, le cui opere letterarie sono state praticamente saccheggiate dal cinema a partire da “Blade Runner”, trasposizione cinematografica del testo “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”. Nella sua immensa produzione Dick ha creato una narrazione critica attraverso i suoi romanzi di fantascienza sia del benessere del sogno americano del secondo dopoguerra che degli anni della controcultura e dell’uso di droghe nel periodo della contestazione che ruota intorno al 1968. Nello straordinario romanzo “Le tre stimmate di Palmer Eldritch”, (1965) compare una singolare ed ambigua raffigurazione della stessa divinità: Dick, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, segnati da sofferenze e crisi mistiche, si è spesso interrogato sul rapporto col divino, mettendolo in correlazione ad una visione critica del potere e della società americana. La trama del romanzo affronta la rivalità emersa tra due spacciatori di droga e commercianti piuttosto singolari, Leo Bulero e Palmer Eldritch: il primo vende ai coloni terrestri emigrati su Marte dei giocattoli in miniatura nei quali collocare la bambola Perky Pat. Unita all’assunzione di una droga chiamata Can-D, i coloni possono immaginare molto realisticamente (fin troppo) di essere di nuovo sulla Terra a vivere una vita felice e di essere proprio come le belle bambole simili alla coppia Barbie-Ken dell’american dream del boom post bellico occidentale. Il concorrente di Bulero è appunto Palmer Eldritch, un mostro con occhi artificiali ed una mano sostituita con una protesi metallica e denti d’acciaio inox. Eldritch è uno spregiudicato spacciatore e di seguito ad un viaggio nello spazio mette sul mercato una nuova droga, il Chew-Z, che darà ai coloni esperienze di vita molto più vivide e realistiche di quelle create dal Can-D. Il Chew Z spacciato da Palmer Eldritch comincerà a far saltare la sottile linea divisoria tra realtà e finzione fornita dalle droghe precedenti, per cui gli assuntori si troveranno catapultati in mondi differenti nei quali a comandare è questo Dio cattivo, lo stesso mostro-cyborg Palmer Eldritch:

«‘Che roba è?’ chiese Eldritch. ‘Una Bibbia di re Giacomo. Ho pensato che poteva servire a proteggermi’. ‘Non qui’ disse Eldritch. ‘Questo è il mio dominio’. Fece un gesto in direzione della Bibbia e quella sparì. ‘Però potresti averne uno tuo, di dominio, e riempirlo di bibbie. E questo può farlo chiunque. Non appena la nostra attività sarà avviata. Avremo dei plastici, naturalmente, ma succederà più tardi, quando partiranno le attività sulla Terra. E comunque è una mera formalità, un rituale per facilitare la transizione. Il Can-D e il Chew-Z verranno messi in commercio sulla stessa base, in aperta concorrenza; non pretenderemo che il Chew-Z faccia niente che il vostro prodotto non faccia già. Non vogliamo far scappare la gente; la religione è diventata un argomento delicato. Sarà solo dopo averlo provato qualche volta che si renderanno conto dei suoi diversi aspetti; il tempo che non passa e l’altro, forse quello più vitale. Che non si tratta di una fantasia, che entrano veramente in un nuovo universo»[P.K.Dick, Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Fanucci, Roma, 2003, pag.114].

Il mostro-divino Palmer Eldritch ci parla della paura che emerge nel rapporto tra gli uomini e le sostanze stupefacenti e tra gli uomini ed il commercio. Se la droga è il bene scambiabile da cui trarre profitto per eccellenza nel “mercato libero” perché crea dipendenza e quindi riproduce i propri consumatori, allora nel cambiamento di percezione che innerva la società queste caratteristiche di devozione alle sostanze psicotrope potranno manifestarsi anche nel volto sfigurato di Dio, un volto reso mostruoso dal commercio più che dalla droga stessa: una distopia alquanto realistica se proiettiamo le mostruosità del capitalismo in un futuro remoto, un futuro nel quale il genio di Philip K. Dick osserva il volto malvagio di Dio.

 
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La poetica di Joe R. Lansdale

“La luna era molto luminosa, e rendeva l'acqua lucente come il vestito buono di un povero” La notte del Drive-in 3. La gita per turisti, p. 44

C'è una foto diventata ormai famosa, data la sua diffusione virale sui social network di tutto il mondo, che ritrae un “friday night” tipicamente inglese: per le vie di Manchester due poliziotti tentano di sedare un uomo ubriaco e molesto, un altro giace accasciato al suo fianco con una birra appoggiata a terra mentre altri personaggi compongono la scena vestiti in abiti da sera. Il tutto viene incorniciato da una luce artificiale notturna che illumina il giallo catarifrangente dei giubbotti della polizia, le automobili sulla strada, i negozi sullo sfondo e i mattoni rossi di Well Street.

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Questa foto, seppure di ambientazione britannica, ricorda molto la poetica di Joe R. Lansdale, lo scrittore texano più conosciuto e bravo al mondo. Se leggiamo l'incipit di uno dei suoi romanzi, Una coppia perfetta, possiamo infatti trovare una scena descritta nitidamente con gli stessi colori: «Quando arrivai in macchina al night club, Leonard era seduto sul marciapiede con uno straccio zuppo di sangue premuto sulla testa. Due auto della polizia erano parcheggiate pochi metri più in là. Uno dei poliziotti, Jane Bowden, una donna tarchiata con i capelli biondi legati a coda di cavallo, era in piedi accanto a Leonard. Era un'amica di Brett, la mia ragazza. Nel parcheggio c'era un tizio disteso sulla schiena».

Le pennellate di Lansdale introducono il lettore con sole quattro righe di pagina nel meraviglioso mondo di Hap e Leonard, i suoi due personaggi più famosi, protagonisti di una saga che è difficile, come tutte le opere del genio texano, incasellare in un preciso genere letterario. Pulp, noir, western moderno, hard boiled, come lo vogliamo chiamare, lo stile di Lansdale travalica qualsiasi etichettatura classica. Tante sono le abilità di questo scrittore che riescono a trasformare ogni suo libro in un’avventura per chi legge. Innanzitutto il ritmo narrativo incalzante è costruito da una trama che si rivela sempre essenziale, non ci sono mai pagine in eccesso e ragionamenti posticci, l’evoluzione della storia si regge semplicemente sui dialoghi dei personaggi e sulla ricostruzione dell’ambientazione.

Questa scorrevolezza è il primo punto a favore dei testi di Lansdale, che si rivelano di una facilità di lettura costruita con un’abilità letteraria fuori dal comune, perché gli elementi che reggono la narrazione sono pieni di una fantasia senza freni da parte dell’autore e di una precisione ineguagliabile. La caratterizzazione dei personaggi è leggendaria. Hap e Leonard, per esempio. Il primo è bianco, progressista e pacifista, mentre il secondo è nero e repubblicano, ex militare in Vietnam, omosessuale: un incrocio perfettamente non convenzionale che si incastra nello scenario di un'America piena di razzismo, povertà, criminalità organizzata (la “Dixie Mafia”) e i due nostri eroi solitari pronti a combattere i mostri più improbabili.

Una scena che si ripete con costanza nei finali di Hap e Leonard è quella dei due protagonisti, investigatori privati squattrinati e improvvisati, che si ritrovano a fronteggiare una banda di pericolosi criminali tra i quali spunta nella lotta finale un gigante, un cattivo dalla mole improbabile, quasi resistente alle pallottole. Un’esagerazione che riporta il lettore su un crinale sottile tra fantasy e realismo. La voce narrante espressa in prima persona dal racconto di Hap serve poi a fornire potenza espressiva ulteriore al racconto. Un altro momento unico nella letteratura dello scrittore texano riguarda inoltre la capacità di costruzione dei dialoghi, nei quali i personaggi hanno una loro voce perfettamente riconoscibile e un loro linguaggio assolutamente ben centrato, con una coerenza e una credibilità perfetta. Lo vediamo soprattutto quando i personaggi sono adolescenti o bambini: data la difficoltà di costruzione della voce, la credibilità messa giù dall’autore risulta sempre sorprendente.

Questi gli ingredienti principali della narrativa di Lansdale, cui non possiamo che aggiungere l’iconica causticità delle battute fulminanti, con linguaggio di strada e sboccatissimo: un esempio su tutti, quando Hap incontra Brett, la sua futura compagna, lo scrittore texano per sottolineare l’avvenenza della donna fa dire ad Hap che “anche il Papa si sarebbe chiuso nei cessi del Vaticano per farsi una sega”.

Il contesto di queste battute fulminanti è quello di un mondo ostile, rutilante e pieno di personaggi improbabili, ma allo stesso tempo realistici come la cattiveria umana, che è infinita e terribilmente tangibile, una volta che ci si è messi in marcia sulle strade senza nessun riparo confortevole. Spesso perché si è nati poveri oppure perché si è neri in un Texas razzista nel quale svetta ancora la bandiera confederata e appaiono i fantasmi a cavallo del KKK; oppure perché un tornado ha spazzato via la piccola casa nel sud texano, oppure ancora perché si è finiti dentro una torbida storia di ricatti da parte di criminali senza scrupoli.

In questo lago nero di oscurità, nei romanzi di Lansdale rifulge la luce del coraggio degli ultimi e della solidarietà tra oppressi. Hap e Leonard sono spesso chiamati a fronteggiare nemici verso i quali la stessa polizia (a sua volta storicamente corrotta o inetta, tranne rare eccezioni) nutre un grande timore: i due protagonisti però riusciranno sempre a sconfiggere i mostri e nella loro lotta ci sarà lo spazio per una risata, uno sberleffo in faccia alla vita e alla cattiva sorte. Questo coraggio nasce dalla consapevolezza e dalla disperazione che, come dice un personaggio di uno dei libri più belli di Lansdale, Foresta: “poi, all'improvviso, la verità mi è saltata agli occhi, semplice come un bicchier d'acqua. La vita è quello che è, ed è tutto tranne che giusta”.

 
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Mostri del Novecento

Destandosi da un mattino di sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel letto, in un enorme insetto. Se ne stava disteso sulla schiena, dura come una corazza, e per poco che alzasse la testa poteva vedersi il ventre abbrunito e convesso, solcato da nervature arcuate sul quale si reggeva a stento la coperta, ormai prossima a scivolare completamente a terra. Sotto i suoi occhi annaspavano impotenti le sue molte zampette, di una sottigliezza desolante se raffrontate alla sua corporatura abituale. Franz Kafka, La Metamorfosi

La storia degli uomini è popolata da mostri. Gli esseri umani hanno spesso incontrato nel loro cammino delle strane e ibride creature, non immediatamente classificabili nella specie umana o in quella animale o vegetale: creature presenti in varie forme nella vita, nell’arte, nella letteratura e nella varie scienze sociali che essi hanno costruito nei secoli con l’osservazione e lo studio della realtà che li circonda. Il termine latino monstrum deriva dal verbo monere e cioè avvisare, ammonire: il monstrum è un ammonimento, un’apparizione o un prodigio per gli uomini. Una figura abnorme, portatrice di qualità ibride tra le varie specie, metà uomo e metà bestia come il Minotauro greco, il centauro o l’uomo ragno, oppure tra più specie incrociate come l’unicorno, il cavallo alato o il lupo mannaro. Tutte figure che hanno popolato la riflessione umana per millenni, influenzando non solo l’arte e la letteratura, ma anche lo stesso sviluppo della vita sociale, storica e dunque politica degli uomini. Per prima cosa risalta questa qualità di ibridazione tra specie, ma il mostro, questa creatura che si discosta dalla normazione regolata fatta dagli umani, ripone nella capacità di eccedere la sua quintessenza. Il mostro eccede in quantità o qualità determinate caratteristiche proprie di uomini o animali, tanto che si ritiene questa eccedenza un surplus così irrimediabilmente irrecuperabile da essere catalogato in qualche dimensione nuova, che osserviamo all’inizio nella sua manifestazione di prodigio, di portento che lascia sgomenti ed attoniti:

Il mostro, dal Medioevo fino al XVIII secolo, di cui adesso ci occupiamo, è essenzialmente il misto. È il misto di due regni, del regno animale e del regno umano: l’uomo con la testa di bue è un mostro, l’uomo dai piedi di uccello è un mostro. È il misto di due specie: il maiale che ha una testa di pecora è un mostro. È il misto di due individui: colui che ha due teste e un corpo è un mostro, colui che ha due corpi e una testa è un mostro. È il misto di due sessi: colui che è contemporaneamente uomo e donna è un mostro. È un misto di vita e di morte: il feto che viene alla luce con una morfologia che non gli consente di vivere, ma riesce tuttavia a sussistere per qualche minuto o qualche giorno, è un mostro. È, infine, un misto di forme: colui che, come un serpente, non ha né braccia, né gambe è un mostro. Trasgressione, per conseguenza, dei limiti naturali, trasgressione delle classificazioni, trasgressione della legge come quadro di riferimento: è proprio di questo che si parla nella mostruosità. Ma non penso che sia solamente ciò che costituisce il mostro. Non è l’infrazione alla legge naturale -per il pensiero del Medioevo e senza ombra di dubbio anche per il pensiero del XVII e XVIII secolo- a costituire la mostruosità. Perché vi sia mostruosità, occorre che la trasgressione del limite naturale, la trasgressione del quadro della legge sia tale da riferirsi a (o per lo meno da mettere in causa) un’interdizione della legge civile, religiosa o divina. (Michel Foucault, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), Feltrinelli, Milano, 2006, pag.64)

Il mostro eccede nella misura, può essere un minuscolo lillipuziano, il gigantesco Gulliver o l’enorme scimmia King Kong appesa sul grattacielo americano, ma può anche manifestarsi nell’eccedenza di poter superare determinate leggi fisiche ritenute insormontabili attraverso l’immortalità, la telepatia, la bilocazione, l’invisibilità. Di fronte a questo costitutivo campionario di eccedenze, abnormità e ibridazioni gli uomini si sono sempre rapportati con reazioni parimenti eccessive. L’uomo è stato attonito scopritore del mostro e suo attento e scrupoloso studioso ma anche suo creatore. Nell’ibridazione di più specie o di esseri con componenti della tecnica fino ai cyborg ed ai robot opera esclusiva della tecnologia, fino alla creatura del Dr.Frankenstein, l’uomo e il mostro hanno stretto una particolare alleanza. E questi mostri sono spesso usciti dalle pagine dei libri o dalle pellicole cinematografiche o dai dipinti nelle chiese e sono diventati oggetto di culto, di timore, di speranza e di riscatto per gli uomini. Mostri buoni e mostri cattivi, mostri liberatori o tiranni, mostri dell’adattamento al sistema di produzione vigente e mostri del superamento dell’ordine costituito. Mostri immaginari ma anche (questo è un altro punto decisivo della questione) mostri realmente esistenti. E se non esistenti nella realtà fisica immediatamente riscontrabile, perlomeno esistenti per l’effetto prodotto da essi nella costituzione essa stessa ibrida della vita umana, nella commistione del pensiero e dell’osservazione della realtà, nel prodotto immediato tra fiction, discorsi e narrazione e sue risultanze storico pratiche.

«U-u-u-u-u-uhu-hu-huuu! Oh, guardatemi, sto per morire! La tempesta nel portone mi ulula il de profundis e io mugolo con lei. Sono finito, finito! Una canaglia col berretto bisunto, il cuoco della mensa per l’alimentazione normale degli impiegati al Consiglio dell’Economia Nazionale, mi ha versato addosso dell’acqua bollente e mi ha scottato il fianco sinistro. Che bestia, e pensare che è un proletario! Oh Signore, mio Dio che male! L’acqua bollente mi ha corroso l’osso e adesso mugolo, mugolo, mugolo, ma serve forse a qualcosa?». Inizia così, con la morte di un cane randagio in un oscuro vicolo di Mosca, il romanzo di Mikhail Bulgakov Cuore di cane, un testo uscito nel 1925, negli anni successivi alla Rivoluzione d’Ottobre e dopo i tentativi di correzione economica fatti da Lenin con la NEP. Al cane Pallino, grazie all’intervento del professore Preobrazeskij, vengono innestate nel corpo di animale delle componenti umane che lo trasformano in un mostro ibrido che avrà, però, vita breve. L’esperimento fallito richiama in maniera scoperta, come altri testi della letteratura pubblicata fuori dai confini sovietici, le problematiche evoluzioni del grande esperimento socialista post-rivoluzionario. Nel circo di Bulgakov, scrittore che godrà di una misteriosa accondiscendenza da parte di Stalin nonostante il carattere fortemente critico dei suoi scritti, compaiono queste figure mostruose e fantastiche che assumono sul loro corpo gli sconvolgimenti avvenuti in Unione Sovietica in quel periodo storico. Il socialismo fortemente egualitario e post-bellico crea inevitabilmente i primi scontenti, considerando anche le problematiche suscitate da una manovra capitalista che costruisce l’embrione di una nuova borghesia statale. L’artificio di un intervento sull’economia imposto dall’alto da parte di un potere conquistato per via rivoluzionaria mette in scena nella letteratura questi ambigui mostri provocati dall’interventismo socialista. Per questo motivo tali mostri avranno un grande successo in occidente: a venire mutata con la forza è una natura umana considerata immodificabile ed eterna, specchio di un sistema di produzione considerato alla stessa stregua come immutabile. In un regime capitalista puro e democratico il cane Pallino sarebbe rimasto dentro la sua specie, mentre nel socialismo della NEP si tentano invece questi strani innesti destinati al fallimento. La natura umana viene sconvolta e turbata rispetto al suo corso regolare. Siamo di fronte a delle entità mostruose dal carattere prometeico che sfidano leggi eterne ed immutabili, siamo di fronte a dei malriusciti mostri come quelli del Dr. Frankenstein. Se il mostro del proletariato industriale veniva inteso come il classico spettro che popolava le notti insonni della borghesia europea (“uno spettro si aggira per l’Europa…”), qui invece siamo di fronte al grido che ha attraversato tutto il novecento, un secolo segnato dallo scandalo per la presenza di queste anormali creature senza religione né umanità. I mostri di Bulgakov sono dei mostri del superamento, perché richiamano il tentativo eccedente di mutamento dall’esterno della natura umana: visti dall’occidente capitalista, però, diventano i mostri tipici dell’adattamento, perché si trasformano nel segnale di pericolo di un possibile rovesciamento del regime di produzione vigente. Il punto critico e politico della faccenda è dunque qui, nel fatto che ogni idea di trasformazione venga negata alla radice e bollata come mostruosa, proprio mentre ben altri mostri imperverseranno sulla scena e verranno considerati assolutamente naturali, basti pensare al tragitto che porterà l’uomo comune, “normale” e borghese, ad affidarsi pochi anni dopo ad Adolf Hitler e al suo tentativo eugenetico di creare una razza pura di dominatori del pianeta.

Sul versante opposto dell’imprevedibile surplus genetico e dell’escrescenza deviante dalla norma, peraltro costruita razionalmente a tavolino nei laboratori sovietici, lo stesso orizzonte politico che guardava inorridendo la possibile generazione di nuovi mostri si è anche speso per la creazione di mostri a proprio uso e consumo, di mostri “funzionali”, mostri dell’adattamento al sistema esistente. Mostri della produzione industriale, figure mitologiche di operai devoti al proprio sfruttamento in metamorfosi nella catena di montaggio, mostri soldato diventati tutt’uno con le protesi militari ad essi applicate, da Rambo in poi, mostri sportivi gonfi di steroidi anabolizzanti che hanno sublimato il dogma della competizione trascendendo ogni remora estetica e ogni finalità di conquista sportiva per diventare una sola cosa con la propria esibita trasformazione in fenomeni da esibizione spettacolare. Il mostro dell’adattamento si muove nella sottile linea di confine tra il rispetto del limite imposto dal contesto sociale normativo e il suo possibile superamento in termini di eccessivo e patologico rispetto della norma stessa. Determinati a selezionare la presunta identità razziale “ariana” sterminando con scientifica violenza ogni eventuale “degenerazione” dal modello presupposto, i nazisti produssero durante la loro breve ma intensa esperienza storica di potere nel Terzo Reich una incredibile quanto significativa e complessa serie di tentativi “eugenetici” volti a intervenire sulla natura umana per isolarne e scongiurare la perpetuazione di suoi elementi supposti devianti. La pratica degli esperimenti operati dai medici nazisti nei campi di concentramento si è risolta fondamentalmente in un clamoroso e tragico museo degli orrori: ricerche sulla cura ormonale dell’omosessualità, castrazioni e sterilizzazioni, esperimenti di congelamento e chi più ne ha più ne metta. Il desiderio di intervenire sulle possibili deviazioni dal modello di razza pura e di evitare di confrontarsi con gli aspetti non convenzionali della natura umana ha prodotto da un lato una lotta senza quartiere contro il fantasma del mostro del superamento, dall’altro lato si è rispecchiato nella volontà di creare il calco di un mostro funzionale, di un soldato perfetto e fedele alla religione totalitaria del Reich nazista. Il sogno di un’omologazione forzata che avrebbe dovuto generare mostri, proprio come il sonno della ragione paventato da Goya. Se nella letteratura inglese del primo ottocento abbiamo visto nascere l’ipotesi dei mostri del superamento, con il secolo successivo compaiono dunque i primi esempi dei mostri dell’adattamento. Ad esempio la fortunata opera di Franz Kafka ci presenta numerose specie di queste possibili evoluzioni e ibridazioni dell’umano in forma mostruosa ed animale. Anche nel suo racconto più famoso, “La metamorfosi”, (pubblicato nel 1915) lo spaventoso insetto nel quale si trasforma lo sfortunato commesso viaggiatore rappresenta l’allegoria di un uomo comune ridotto in forme mostruose dalla necessità, e forse dall’impossibilità, di un adattamento alle istituzioni forti della società europea del novecento, ossia la famiglia patriarcale, la produzione fordista e la macchina burocratica statale. Percepito dagli altri come un disgustoso insetto, oggetto della repulsione della maggioranza o dell’amorevole pietà di pochi, lo sfortunato uomo comune non potrà che venire schiacciato e messo da parte con la ramazza della domestica.

 
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Addio alle armi

È il pomeriggio del 20 luglio 2001, sono davanti il televisore, con lo zaino in spalla e pronto a uscire di casa. Mia madre si è chiusa in camera e non mi rivolge la parola, troppo irritata per la mia decisione di raggiungere Genova e le contestazioni al G8. Ci sarà un treno ad aspettarmi alla stazione, che durante la notte farà il suo lento percorso per portare le decine di persone al grande corteo del giorno dopo. Mentre sto per uscire dalla porta di casa, dalla TV danno una notizia drammatica: pare che sia morta una persona durante gli scontri, pare che sia un anarchico basco.

Esco di casa con questa confusa notizia, che poi si rivelerà una di quelle che oggi chiamiamo fake news, ma nel nostro paese hanno una lunga tradizione, dall’arresto di Valpreda annunciato da Bruno Vespa al TG1. Un anarchico basco, una descrizione di un militante alieno, cattivo, distante anni luce da quello che i media vorrebbero fossero i manifestanti pacifici, quelli che non se la sono cercata. Poi emergeranno tutti i dettagli, sempre dopo gli altri tentativi goffi di depistaggio, del “tu lo hai ucciso, col tuo sasso” urlato ai compagni vicini al corpo di Carlo Giuliani. Carlo, un ragazzo come noi.

Salendo su quel treno verso Genova non conoscevo ancora il suo nome. Arrivato al grande corteo ricordo il sole alto e cocente, il lungomare ampio, gli elicotteri che vennero verso di noi sparando i lacrimogeni, quelli che contenevano il gas tossico CS, combinato col cianuro. Non sapevo nemmeno questo quando mi arrivò addosso quella scatoletta di ferro nella calca di persone ammassate: mi si chiusero gli occhi e mi si fermò il respiro, per pochi secondi che sembrarono un secolo, un’eternità. Poi la fuga dalle forze dell’ordine in una città spettrale, con la gente chiusa in casa. Poi il ritorno a casa e i discorsi sull’estintore, sulle foto di Carlo col passamontagna, le litigate sulla legittimità di una rivolta, la legittima difesa del Carabiniere che aveva ucciso Carlo Giuliani sparandogli un colpo di pistola dalla sua camionetta.

L’ho presa veramente alla lontana per parlare di questo libro, Addio alle armi di Hemingway, che narra la precipitosa fuga dei soldati italiani, la disfatta di Caporetto, durante la prima guerra mondiale. In uno dei brani più drammatici di questo libro, il protagonista si trova davanti al plotone di esecuzione improvvisato per quei soldati che stanno disertando (in realtà la fuga è così caotica che è difficile distinguere chi fugge assieme alle truppe e ai comandanti da chi sta scappando via in proprio). A guidare questo plotone di esecuzione sulle rive del fiume ci sono, appunto, i Carabinieri, con i loro cappelli grandi a tricorno, sono i predecessori di Mario Placanica, l’assassino di Carlo Giuliani. Difendono l’ordine di uno Stato giovane, che ha mandato a morire centinaia di migliaia di ragazzi da tutti i posti più remoti dello Stivale per difendere dei confini che verranno tracciati con il loro sangue alla fine di quella tremenda “inutile strage”.

Lo Stato era giovane, nato nel 1861, quando bisognava ancora “fare gli italiani” ossia appiattire su un discorso unitario regioni e lingue così distanti, messe in riga da un centro di potere, la monarchia sabauda, che in fin dei conti parlava francese. Decenni dopo un erede Savoia in esilio avrebbe urlato “italiani di merda” sparando a un gruppo di ragazzi in vacanza uccidendo un povero turista in una barca. La creazione di quello Stato ha avuto un filo conduttore, l’Arma, che ha messo in riga più volte disertori e disertrici, povere, operaie e chiunque abbia avuto la forza di ribellarsi, come Carlo Giuliani, che il 20 luglio del 2001 scese tra le strade della sua città per protestare contro i potenti del mondo, perché nel cuore aveva un sentimento, una voce che gli diceva che no, le cose non dovevano continuare ad andare così.

 
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from 我要乐乐

######大家有空来我博客玩啊

太原书生折遇兰说:

他的家乡有个人专门扶乩。

降临乩坛的神仙用大字写诗道: “一代英雄付逝波, 壮怀空握鲁阳戈。 庙堂有策军书急, 天地无情战骨多。 故垒春滋新草木, 游魂夜览旧山河。 陈涛十郡良家子, 杜老酸吟意若何?”

这诗署名叫“柿园败将”。

乩坛旁的人都惊恐地知道这是孙传庭显灵。

柿园的这一次战役,失败的根本原因就是皇帝过于催促作战,罪责其实不在孙公。

诗中以房琯的车战用来自比,引为自己的过错。

看看正人君子的用心国事,再看王化贞之流战败误国,还千方百计把责任推卸给别人,这其间的天大差距真好比日月星之光和九泉的阴幽之光。

大同书生杜宜滋也抄录有这首诗,只是“空握”写作“辜负”,“春滋”写作“春添”,“意若何”作“竟若何”,共有四个字不同。

虽然大概传写中偶有差异,但其大意还是没有差别。

评:看过《明朝那些事儿》,才知道了有关孙传庭的事儿,作者当年明月据传已经疯了。哈哈,这事搞得太有趣了,在疯人群中,正常人才是疯人,这个道理大家都懂。

福利图:

 
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from EasyGNU

A maneira mais direta e abrupta de se transicionar para software livre é instalar Linux e usar os programas nativos do sistema. Porém, fazer essa mudança abruptamente não é para todo mundo. Falta de autoconfiança pra fazer o processo, medo do desconhecido, esforço de adaptação, vários motivos podem causar isso.

Uma forma de transição mais gradual é usar software livre dentro do Windows. Para isso, vou apresentar o site AlternativeTo.

Esse site cataloga vários programas e suas alternativas, que incluem alternativas de software livre. Para usar o AlternativeTo, basta digitar um software conhecido na barra de pesquisa e será aberta uma página de alternativas para ele. Vou usar o exemplo do PowerPoint, que é um dos softwares mais comuns e usados no mundo.

Barra de pesquisa do AlternativeTo

Ao abrir a página de alternativas do PowerPoint, é apresentada uma lista de alternativas por ordem de votação (quais alternativas a comunidade julga como melhores). O primeiro resultado é o LibreOffice Impress, parte da suíte LibreOffice que é o office padrão na grande maioria das distribuições Linux.

Existem alguns filtros de pesquisa, e um desses filtros é o “Open Source”. Para efeito desse post, open source e software livre são a mesma coisa, então esse filtro deve estar habilitado.

É bom ainda habilitar os dois filtros de plataforma: “Windows” e “Linux” para que os resultados sejam software multiplataforma (o mesmo software poder ser usado em qualquer dos dois sistemas).

Página de alternativas mostrando os filtros

Ao se interessar por um programa específico, ele tem uma página descritiva clicando em More about [...]. Rolando a página mais para baixo é possível encontrar o link para a página oficial.

Página da alternativa no AlternativeTo

E na página do projeto é possível fazer o download.

Página do LibreOffice

A ideia é fazer esse processo com todos os programas instalados, buscando alternativas para cada um que for proprietário (o AlternativeTo irá dizer se é proprietário ou não). Alguns podem não ter, ou a alternativa não ser boa o suficiente. É bom testar, e também ver quais são as alternativas disponíveis em Linux.

O melhor para começar a substituir é exatamente o Office, porque é o software que mais trava potenciais migrações. Usar o LibreOffice e o formato OpenDocument (que ainda são muito pouco usados) mesmo no Windows já é uma ótima forma de apoio simbólico ao software livre.

Usar software livre dentro do Windows é só uma forma de se acostumar com os programas de Linux para reduzir o esforço de adaptação com a futura troca do sistema operacional. Não vá se acomodar, hein ;)

 
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from 我要乐乐

######大家有空来我博客玩啊

以前我撰写过一本叫《滦阳消夏录》的笔记小说,还没定稿就被书坊偷印出来,其实这里面还有很多并不算是完善的地方。

但那些博学端雅之士,有的并不认为这部书稿有什么错漏,并且还有人不断地告诉我新的故事。

于是我又将自己的旧闻也增加进去,又补写了四卷小故事。 记得北宋欧阳修说过:“物尝聚于所好。”

难道这个说的不就是这样的么!

由此可知一个人一旦有了兴趣,就会沉浸其中,自已也停不下来。 天下的事往往都是这样,其中有很多都值得深思的。

乾隆辛亥年七月二十一日题。

评:兴趣才是孩子最好的老师,恨美是工作,爱美是生活,国人要分得清楚才好,不要老是混在一起。所以,做自己感兴趣的事,躺平也好,内卷也罢,一切为了兴趣。

福利图:

 
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from Jean VOGUET Composer

Le concept de la volumiphonie

Le concept de la Volumiphonie

https://jeanvoguet.wordpress.com/wp-content/uploads/2025/01/2025-01_jeanvoguet_concept-volumiphonie-1.pdf

Le terme diffusion multicanale s’avère imprécis au regard des possibilités et choix qu’il implique. Car des dispositifs x,y vs x,y,z n’ont pas grand chose en commun tant au niveau compositionnel de l’œuvre que pour son écoute. Dans le premier cas, il s’agit de mesures/distances en 2D et donc d’une pensée et écoute linéaire ; pour le second cas il s’agit de mesures/distances en 3D et donc d’une pensée et écoute volumique.

Historiquement, le multicanal a tout d’abord été développé linéairement : quadriphonie, octophonie, etc. Les recherches se sont ensuite poursuivies sur des espaces volumiques : cube, dôme, etc.

Le 3ème âge (1.) de ce processus – plus que jamais volumique – s’oriente sur la conception d’espaces dits “forêts primaires” à contrario des formats Ambisonics et Atmos (2.) car heureusement l’espace de nos vies est infiniment plus vaste et beaucoup moins normalisé. Les formations et vibrations des sons dans l’air/espace méritent beaucoup mieux que ces réductions extrêmement limitatives quant à la circulation et à la situation des masses sonores spatiales.

Afin de préciser une terminologie – actuellement trop brouillonne (3.) – qui permettrait de mieux définir la métrique spaciotemporelle des masses sonores et du chemin géodésique de chacune d’elles dans son espace-temps courbe, le terme volumiphonie semble le plus adapté pour définir une diffusion multicanale en 3D. Qui plus est, il s’inscrit dans la lignée étymologique de ses prédécesseurs : stéréophonie, octophonie, ambiphonie, etc.

________________________________ 1. Jean-Marc Duchenne le présente excellemment dans https://youtu.be/Z1R48MTQE40 2. Ces formatages induisent une une compression sonore d’où une déprédation significative de la qualité des sons. 3. Laissons la multiphonie au chant choral, d’ailleurs ce terme ne résout en rien les différences entre linéarité et volumique.

 
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from EasyGNU

Um dos problemas de compatibilidade que fez o Linux sofrer um pouco foi o uso de formatos fechados (ou proprietários). Um formato fechado faz com que apenas um programa, propriedade do dono, o decodifique. Esta prática limita a interoperabilidade entre programas diferentes e gera o que se conhece como Aprisionamento Tecnológico.

Se apenas o proprietário do programa pode ter um programa que decodifique o formato, ele é quem precisa tratar a interoperabilidade com outros programas e sistemas. Não é vantagem competitiva para ele que outros programas decodifiquem o formato, e também não é vantagem oferecer suporte para outros sistemas operacionais nichados. Formatos abertos eliminam esse problema e garantem suporte entre diferentes programas e plataformas.

Com o passar do tempo, os formatos abertos foram se popularizando e os problemas de compatibilidade com formatos proprietários foram diminuindo, em parte graças à popularização da web. Não há mais tanto problema de compatibilidade de arquivos entre Windows e Linux, mas ainda assim vou recomendar o uso de formatos abertos. O aprisionamento tecnológico ainda é um problema em softwares profissionais e de aplicações específicas, mas acredito que deixou de ser para o usuário comum.

A Wikipedia tem uma lista de formatos abertos. Vou discutir os mais comuns aqui.

Texto

Office

O exemplo mais clássico de aprisionamento tecnológico em formatos são os antigos formatos do Microsoft Office (.doc, .ppt, .xls, …). Esses formatos são compatíveis apenas com o Office da Microsoft e mais ou menos compatíveis com outras suítes de office por meio de engenharia reversa.

A partir do Office 2007, a Microsoft criou um novo formato aberto chamado OOXML (Office Open XML). É o formato em que a extensão termina com ’x’ (.docx, .xlsx, .pptx, …). Esse formato também é padronizado pela ISO (International Standards Organization), uma organização internacional que define padrões. Porém, apesar de aberto, ele ainda continua sendo um formato muito centrado no Microsoft Office e o desenvolvimento também é muito influenciado pela Microsoft, questionando se ele é realmente “livre” apesar de aberto.

O formato livre e aberto correspondente é o OpenDocument (extensões .odt (OpenDocument Text), .odp (OpenDocument Presentation), .ods (OpenDocument Spreadsheet), …) e é usado por padrão no LibreOffice, porém esse não é o “formato do LibreOffice”. Uma outra suíte que implementa o OpenDocument é o Calligra.

Recomendação: OpenDocument, seguido de OOXML.

Software: LibreOffice.

Ebook

A Amazon possui seu próprio formato de livros (.mobi) “meio aberto” que possui algumas extensões proprietárias. O formato aberto correspondente é o ePub (.epub).

Recomendação: ePub.

Compressão

O exemplo mais clássico de formato fechado dessa categoria é o RAR (.rar), usado pelo WinRAR. É um formato que faz tanto compactação (juntar vários arquivos em um) quanto compressão (reduzir o tamanho do arquivo compactado). Esse formato também passou por engenharia reversa para garantir compatibilidade com outros programas. No Windows, um software livre compatível com vários formatos de compactação e compressão é o PeaZip.

No Linux, essas duas funcionalidades costumam ser separadas. Os tipos de arquivos compactados geralmente são .tar.gz (.tar (de Tar) é a compactação e .gz (de Gzip) a compressão) – ambos formatos livres e abertos. Essa separação permite compactar sem compressão e comprimir outros tipos de arquivo (por exemplo, .pdf.gz).

Outros formatos livres que unem compactação e compressão são o 7-Zip (.7z) e o formato universal, Zip (.zip). Ainda assim, o ideal é separar as duas coisas e usar .tar.gz.

Recomendação: Tar (.tar) com ou sem Gzip (.gz) ou Zip (.zip) ou 7-zip (.7z).

Software: PeaZip (Windows). No Zorin um programa para esse fim já é incluído por padrão (chamado de “Gerenciador de arquivos compactados”).

Mídias audiovisuais

Esse tipo de formato tem um problema diferente. Os algoritmos de compressão audiovisual mais usados são patenteados dentro de uma patent pool. Cada licenciante precisa pagar royalties para os licenciadores das patentes. O maior licenciador de patentes é a Via-LA.

Aqui cabe algumas distinções entre o algoritmo de compressão e o container.

O algoritmo de compressão é o que faz um sinal áudiovisual (vídeo, áudio, imagem) ter um tamanho menor. O objetivo desse algoritmo é obter o menor tamanho de arquivo com o mínimo de perdas perceptíveis no sinal. Como exemplo, vamos supor que um formato de música sem compressão como os utilizados em CD (arquivos .wav) represente uma música num arquivo de 30MB. O objetivo da compressão é transformar esse dado em, por exemplo, 3MB com o mínimo possível de perdas perceptíveis. O mesmo vale para vídeos e imagens.

O container é o que contém os dados comprimidos. Precisamos de containers porque essas mídias precisam de múltiplos dados (vídeo, áudio, legenda, outros) no mesmo formato. Alguns containers são projetados para formatos patenteados, outros para formatos livres, outros para todos os formatos.

Exemplos de algoritmos de compressão:

  • Patenteados: H.265 (vídeo), AAC (áudio), MP3 (áudio, patente já expirada, atualmente é livre), HEIF (imagens).
  • Livres: AV1 e VP9 (vídeo), Opus (áudio), AVIF (imagens).

Exemplos de container:

  • Para algoritmos patenteados: MPEG-4 (.mp4, .m4v), QuickTime (.mov).
  • Para algoritmos livres: OGG (.ogg, .ogv, .ogx, .opus), WebM (.webm).
  • Universal e aberto: Matroska (.mkv (vídeo), .mka (áudio), .mks (legendas)).

Recomendações:

  • Vídeo: AV1 ou VP9 para compressão (AV1 é mais recente e moderno mas possui menos suporte a hardware e software), Matroska para container (.mkv) ou WebM (.webm).
  • Áudio: Opus (.opus) para áudio em geral, FLAC (.flac) para músicas em alta fidelidade, porque é um algoritmo de compressão sem perdas. MP3 hoje em dia é livre e aberto mas o algoritmo é muito antigo e ultrapassado, não compensa ser usado.
  • Imagens: AVIF (.avif) ou JPEG-XL (.jxl), são os formatos mais recentes com o melhor balanço entre tamanho de arquivo e qualidade e já tem bem suporte de software. AVIF é o que tem melhor suporte de software. Os formatos populares .jpg e .png também são livres e abertos, mas os sugeridos são mais modernos e eficientes.

Software (no Zorin OS): Handbrake (conversão de vídeos), SoundConverter (conversão de áudio), Switcheroo (conversão de imagens).

 
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from EasyGNU

O Windows tem duas formas de instalação de software: ir no site do desenvolvedor, baixar um arquivo .exe e instalar ou, mais recentemente, a loja do Windows (Microsoft Store).

Não há um equivalente ao .exe em Linux, mas existem outras formas de instalação de software e vou comentar sobre quatro formas diferentes. Três dessas formas estão disponíveis por padrão no Zorin.

Flatpak

Essa forma é um “padrão internacional”, pra se dizer. Várias distribuições e os principais projetos de software livre adotaram o Flatpak para distribuição oficial.

Flatpak é um meio de distribuição de software independente da distribuição. Os programas em Flatpak também são executados dentro de uma “sandbox”, um ambiente separado do sistema operacional base e não interferem no mesmo, o que permite maior segurança porque os programas podem ter suas permissões controladas. Um programa para controlar essas permissões é o Flatseal.

A maior coleção de programas Flatpak fica no FlatHub. Ele já vem integrado por padrão na loja do Zorin. Na loja, tem uma opção da fonte do software em cada item. Se estiver escrito “FlatHub”, ele é um Flatpak. Também é a forma principal que eu recomendo para instalar programas.

Impression Flatpak

No FlatHub é possível ver que alguns programas tem um “v” de verificado e outros não. O verificado quer dizer que o próprio desenvolvedor criou aquele Flatpak para distribuir, e o não oficial significa que foi um terceiro.

Snap

Essa forma é parecida com o Flatpak, mas o Snap é centrado no Ubuntu (no qual o Zorin é baseado) e teve pouca adesão fora desse ecossistema, por isso a coleção de software dele é menor. Alguns desenvolvedores ainda preferem distribuir por ele, como é o caso do Spotify.

O centro dos pacotes Snap é o Snapcraft e também já vem integrado na loja do Zorin. Ao pesquisar por Spotify na loja, devem aparecer duas opções. Uma é o Snap (oficial) e a outra Flatpak (não oficial, feita por terceiros). Se preferir buscar do desenvolvedor oficial, use a versão Snap.

Spotify Snap

Como no FlatHub, o Snapcraft também mostra se o pacote é oficial ou não através do “v” de verificado.

AppImage

AppImage é o formato de um programa distribuído como um único arquivo portátil. A ideia é baixar um arquivo .appimage, executar esse arquivo e o programa rodar. Quando um programa não está disponível na loja do Zorin, pode ser que ele esteja sendo distribuído por este meio.

Esses arquivos podem ser encontrados no site AppImageHub. Se possível, prefira instalar alguma versão disponível na loja do Zorin pela origem ser mais confiável, ou um AppImage baixado diretamente do desenvolvedor ao invés de um baixado de um hub.

Enquanto AppImages podem ser usados no Zorin, ele não tem uma integração nativa. O software Gear Lever permite gerenciar AppImages e é instalado via Flatpak na loja do Zorin.

Caso queira testar, sugiro o software Logseq que possui versão oficial AppImage e não distribui oficialmente por outros meios (na loja do Zorin é uma versão não oficial).

Logseq AppImage

Repositórios da distribuição

Essa é a forma clássica de instalações no Linux. Todas as distribuições “originais” possuem um repositório próprio de pacotes, como no caso do Ubuntu. A fonte dos repositórios da distribuição na loja do Zorin pode ser vista como “Zorin OS”.

Por muitos anos essa foi a única forma de se instalar pacotes: ter um repositório onde o objetivo era ter todo o software do mundo (ou melhor, aqueles em que a licença permitia) disponível dentro da distribuição, em um ambiente perfeitamente coeso e integrado. Cada distribuição tem uma equipe de voluntários cuidando de diferentes áreas e pacotes. Porém, manter tudo isso é um trabalho monumental para cada uma e muitos pacotes faltam, que podem ser preenchidos pelas outras formas acima.

Um site para verificar a disponibilidade de pacotes em cada distribuição é o Repology. Esse serviço já um pouco mais avançado do que os anteriores.

HomeBank Zorin OS

Outras formas

Ainda existem mais formas de se obter software, mas são destinadas a usuários mais avançados. Talvez eu escreva mais sobre no futuro.

 
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from Edan Osborne

Meanwhile, deep below the ESC, Quill was huddled inside the pod. The creature had stopped just outside the door, its rancid breath permeating through every crack and gap in the door.

Quill, however, had a plan. Not a good plan, but maybe something that could make sure nobody could find themself in the same predicament. Quill took out their flamethrower, and disconnected the gas canister. A strip of fabric from their skirt would act as a fuse, which the flints from the igniter would set alight. They were going to blow up the Jumpstation, as well as themself.

They stuffed the fabric into the nozzle, forcing it half open, and lit the fuse. The bare steel walls of the pod lit up with a golden colour, but then something unexpected occurred. The light in the pod suddenly seemed brighter, colder. The smell changed from that of rotting meat, to a familiar scent of burning metal and... honey?

Before they knew it, Quill was tumbling out of the pod and onto a teal linoleum floor. The canister flew through an open door and promptly detonated, blasting the wall opposite with shards of glass, and startling something — no, someone — behind a counter.

The small creature scampered out from her hiding place. She looked human, impeccably dressed, but with horns and a forked tail: an imp. Pinned to her jacket was a sticker, reading “Hi! My name is MAX”. Quill barely had time to think about her appearance, as the smell of smoke filled their nostrils. They leapt up and rushed in to pull the fire alarm.

“Oh, fuck, is that your lab?” inquired Max.

“Not for much longer if I can't get this fire out!” Quill replied. “Oh shit, my experiments! How powerful was that bomb‽”

“Ah, yes, the bomb. The bomb destroyed your chemicals. Not me. Definitely the bomb.”

“What was that?”

“Nothing. Nothing...”

Quill emerged from the doorway, covered with soot.

“The sprinklers aren't doing shit. We're gonna have to do this the old fashioned way.”

They produced a dagger from inside their labcoat and cut a hole in the linoleum floor, exposing the wood below. They prised one of the blocks away with the dagger, and then pulled up the rest by hand to reveal a glass orb, filled with a clear liquid.

“Right, you're gonna want to hold your breath.” Quill warned before lobbing the orb into the lab and slamming shut the door.

The orb shattered, spilling its contents throughout Lab 273½. The flames dwindled and died as the carbon tetrachloride pulled all of the oxygen from the air.

“Looks like you'll be needing a new lab, huh”, said Max. “You don't seem too upset, though.”

“Well, I'm a bit more concerned about the giant nightmare creature living under the- OH MY FUCKING GOD THE CREATURE!!!” Quill replied, shortly before collapsing to the floor for the fourth time since Thursday.

 
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